“Non smentisco ma non voglio e non posso aggiungere altro a una notizia che è di dominio pubblico, in quanto pubblicata su testate nazionali e tuttora presente sul web”. Questo il commento di Augusto Canini, dirigente della polizia stradale di Aosta, alla vicenda della multa per eccesso di velocità comminata al figlio del noto magistrato Giancarlo Capaldo e in seguito 'cancellata' dalla Polstrada di Aosta su espresa richiesta della Procura di Roma.
Il caso, taciuto sino ad oggi in Valle, emerge dagli archivi web del Corriere della Sera e di altre ben informate testate on line nazionali. La sera del 31 dicembre 2012, una vettura noleggiata poche prima alla Herz di Bolzano sfreccia attraverso il traforo del Monte Bianco, superando di gran lunga il limite consentito del 70Kmh. A guidare quell’automobile risulta essere Paolo Capaldo, figlio di Giancarlo, già Procuratore aggiunto a Roma e titolare di alcune delle inchieste più note e importanti degli ultimi trent'anni di cronaca italiana: la scomparsa di Emanuela Orlandi, la Banda della Magliana, l’omicidio del giudice Mario Amato, la complessa vicenda Telecom-Fastweb.
Giancarlo Capaldo è stato anche, per diversi anni, al vertice della Direzione distrettuale antimafia-Dda. Tornando alla sera del 31 dicembre di tre anni fa, Capaldo sta correndo in Francia per i festeggiamenti di Capodanno e gli autovelox nel tunnel rilevano la violazione dei limiti di velocità della sua auto, con sanzione di una salata multa e il possibile ritiro della patente, com'è già accaduto nientemeno che all'ex bomber della Juventus, Carlos Tevez e persino a un dirigente stesso della società di gestione del Traforo. Trattandosi di automobile a noleggio ed essendo l'infrazione commessa in territorio valdostano, la Polizia stradale di Aosta chiede alla società Hertz l’identificazione del conducente.
La ditta fornisce i dati anagrafici di chi aveva noleggiato l'auto,ovvero Paolo Capaldo, a cui la multa con pene accessorie viene correttamente recapitata in pochi giorni. Ma il 20 aprile del 2013, quattro mesi dopo il fatto, la Polizia stradale di Aosta riceve una nota dalla Procura della Repubblica di Roma.
Questo il contenuto della missiva così come riportato da alcune testate web: “Pregasi voler archiviare l’allegato verbale di contravvenzione al C.d.S. ai sensi dell’art.4 della legge n.689 24.11.1981 (non punibilità dell’agente per aver commesso il fatto in adempimento di un dovere, ndr), emesso a carico di Capaldo Paolo, locatario dell’autoveicolo in parola, significando chel’autovettura al momento dell’infrazione era in uso al dipendente maresciallo dei carabinieri Giandomenico Gaeta”.
Sostanzialmente, la nota afferma che a guidare l'auto non era Paolo Capaldo ma il carabiniere Gaeta, per motivi di servizio.La nota così prosegue: “In merito a quanto sopra, si puntualizza che l’infrazione veniva commessa al fine di non compromettere l’esito di una importante ed inderogabile indagine di pg, delegata dal Procuratore della Repubblica Aggiunto del Tribunale di Roma, dottor Giancarlo Capaldo”.
Con i dati in suo possesso, la polizia stradale di Aosta archivia dunque la sanzione perché la Procura asserisce che il maresciallo Gaeta ha agito nell’ambito dell’adempimento di un dovere. Anche se risulta quantomeno strano che per adempierlo si sia servito di un'auto privata noleggiata dal figlio del magistrato per cui presta servizio. Sta di fatto che pochi giorni dopo, il maresciallo Gaeta, fedele collaboratore del dottor Giancarlo Capaldo, in servizio all’ufficio di Procura della città Giudiziaria di Piazzale Clodio a Roma, viene improvvisamente trasferito con l'accusa di abuso d’ufficio in concorso con Paolo Capaldo.
Sulla vicenda è stato infatti aperto un fascicolo d’indagine dalla procura di Perugia (procura competente per i reati commessi dai magistrati romani e loro sottoposti). Dell'esito del procedimento contro Gaeta e Capaldo non è trapelata finora alcuna notizia, ma sussiste il 'giallo' di una lettera, recapitata ad alcune redazioni, scritta da un anonimo 'agente della Polstrada di Aosta' che ricostruisce dettagliatamente l'intera vicenda non lasciando spazio ad alcun dubbio sul fatto che a condurre quell'auto, la sera del 31 dicembre 2012, fosse il figlio dell'importante magistrato romano.
“Dal punto di vista soggettivo – afferma Canini – posso condividere alcune perplessità evidenziate dai giornalisti, non sono però d'accordo con chi pone dubbi sul nostro operato”.