In questi giorni di primavera, basta percorrere le strade della Plaine valdostana per notare scenari che pongono domande scomode. A Gressan, Jovençan, Aymavilles e nei comuni vicini, si vedono filari di vigne e frutteti dove il verde brillante della vegetazione si interrompe bruscamente, lasciando spazio a strisce di terreno ingiallito, apparentemente privo di vita. È il segno inequivocabile del passaggio di diserbanti chimici. La fotografia scattata il 9 aprile 2025 in uno di questi territori documenta una realtà che mal si concilia con l’immagine di agricoltura “naturale” e “tradizionale” che la Valle d’Aosta spesso promuove.
Il sospetto è che tra le sostanze utilizzate ci sia ancora il glifosato, l’erbicida più discusso degli ultimi decenni, considerato “probabile cancerogeno” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nonostante gli allarmi lanciati da scienziati, medici, associazioni ambientaliste e consumatori, il glifosato continua a essere largamente impiegato in agricoltura, anche in contesti che dovrebbero essere votati alla qualità e alla sostenibilità. I suoi effetti sulla salute dei lavoratori agricoli, dei residenti, dei consumatori, così come sull’ambiente – dalla biodiversità del suolo alla contaminazione delle falde acquifere – sono ben documentati e difficili da ignorare.
A questo punto è legittimo porsi alcune domande. Le autorità preposte alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente stanno effettuando controlli puntuali per verificare l’eventuale utilizzo di sostanze pericolose nei terreni coltivati? Sono in corso analisi a campione che permettano di escludere la contaminazione dei raccolti, delle acque e dei suoli? La trasparenza su questi aspetti non è solo auspicabile, è un dovere. Serve chiarezza, serve responsabilità. E servono risposte.
Esistono già strumenti istituzionali per agire. Il Consiglio Regionale della Valle d’Aosta, con la mozione n. 716 approvata all’unanimità il 13 giugno 2019, ha impegnato il Governo regionale a concordare con i Comuni azioni concrete per vietare l’uso del glifosato. Un impegno politico chiaro, ma che ad oggi sembra rimasto, in parte, lettera morta. Alcuni Comuni hanno fatto la loro parte: Aosta, Champorcher, Pontboset hanno già introdotto provvedimenti restrittivi. Un segnale che si può fare, anche con gli strumenti amministrativi attualmente a disposizione.
L’Italia offre già esempi virtuosi: regioni come Calabria e Toscana hanno completamente bandito il glifosato. Perché non seguire la stessa strada anche in Valle d’Aosta, dove la promozione del territorio si intreccia con il valore della salubrità dei suoi prodotti?
Il fatto che sempre più agricoltori scelgano metodi biologici dimostra che un’alternativa è non solo possibile, ma già in atto. È il segnale che una transizione verso un’agricoltura più sostenibile è praticabile. Ma serve un cambio di passo coraggioso e condiviso: istituzioni, agricoltori, cittadini devono fare fronte comune. La tutela della salute pubblica, la protezione dell’ambiente e la credibilità delle produzioni locali non possono essere sacrificate sull’altare della comodità o della convenienza economica a breve termine.
Il fattore “G”, come glifosato, continua a insinuarsi nei campi e nei dibattiti. Sta a noi decidere se affrontarlo con coraggio o ignorarlo ancora, finché non sarà troppo tardi.