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Camminar pensando | 18 aprile 2024, 10:00

UNA STRANA MALATTIA

Omaggio di Mauro Carlesso Scrittore e camminatore vegano all'Amico e nostro valente collaboratore Lodovico

Sulla settima cima concatenata al Col de l’Iseran (Ph. Mauro Carlesso)

Sulla settima cima concatenata al Col de l’Iseran (Ph. Mauro Carlesso)

Devo scrivere di questo mio amico perché è davvero strano. Non che scrivere sia strano ma l'amico, intendo. Ed è talmente strano questo mio amico che è anche affetto da un’altrettanto strana malattia della quale, ahimè ne sono stato contagiato tanti anni fa e dalla quale, neppure con l'avanzare dell'età, ne sono guarito.

Il breve racconto che segue è tratto dal libro intitolato "Guarigioni d'amore - una storia vera- “scritto a tre mani da Lodovico Marchisio, Roberta Maffiodo, Edi Morini e con il contributo corale dei loro amici per le Edizioni Tripla E di Moncalieri. 

Ecco il racconto: 

“Conosco Lodovico da tanti anni. Mi verrebbe da dire quasi da sempre. Anche se non è vero. Ovviamente.
Con lui ho condiviso molti momenti belli ed anche alcuni momenti brutti. Tuttavia sempre, e comunque, momenti importanti per entrambi.
Nondimeno, fin da subito, dalle prime frequentazioni intendo, mi accorsi che Lodovico soffriva di un certo disturbo. 

Aumentando le frequentazioni mi resi conto che quello che avevo inizialmente definito disturbo era invero qualcosa di assai più serio. 

Mi spiego. In ogni luogo in cui ci si incontrava, che fosse in montagna, in una valle, ai laghi, in pianura o finanche al mare, Lodovico come fine ultimo della giornata non vedeva altro che il raggiungimento di una vetta. Qualunque fosse e dovunque fosse. Sembra assurdo ma è così. 

A parte l’ambiente montano che per antonomasia prevede l’esistenza di cime, capitava sovente di percorre pianure sulle quali all’orizzonte si profilasse un qualsivoglia rilievo che subito Lodovico lo identificasse per raggiungerne la cima, neanche fosse il patagonico Fitz Roy, trasformando quella che avrebbe dovuto essere una gita di piacere in un’avventura alpina. 

E questo, come detto, accadeva anche nel luogo deputato per eccellenza al relax ed alla tintarella: il mare. Al di la della litoranea, dietro le spiagge, appena fuori i borghi costieri Lodovico individuava sempre una roccia, un masso, una cima boscosa trasformando la rilassante quiete del mare in adrenalina alpinistica. 

Insomma mi sembrava sempre più concreto ipotizzare che Lodovico soffrisse di una vera e propria patologia. Fin che parlandone francamente un giorno di tanti anni fa, mentre eravamo incrodati su non so più quale montagna, Lodovico mi confessò di essere realmente affetto da un virus piuttosto subdolo e pericoloso. Appeso ad una corda con le punte dei piedi appoggiate su un esile terrazzino di roccia appiccicato a lui che armeggiava per cercare di allungare una corda che avrebbe dovuto essere di venti metri più lunga all’udire quelle parole mi terrorizzai. Ma di che malattia subdola e pericolosa stava mai parlando? Certo, che qualcosa non tornasse nelle sue condotte l’avevo intuito sospettando una forma di malattia comportamentale, ma di fronte a quella confessione rilasciata mentre sotto di noi lo strapiombo metteva vertigini e la certezza che con la corda doppia a disposizione non si sarebbe raggiunto il suolo mi mandò il cuore in fibrillazione: ma di quale accidente mi stava parlando?

“Ho la vettaiolite. Soffro del virus del vettaiolo” Queste furono le parole che mi disse mentre, in maniera rocambolesca ed improvvida iniziammo a calarci da quell’inospitale terrazzino diventato.
Mentre scivolavo lungo la corda doppia rimbalzando con i piedi contro la parete e pregando di riuscire a toccare terra, quelle parole mi risuonarono nella testa fino a farmi scoppiare in una risata fragorosa che trasformò una situazione pericolosa in una farsa grottesca… 

Quel giorno con l’aiuto di qualche entità eterea toccammo terra sani e salvi e brindammo allo scampato pericolo in un vicino locale dove raccontammo agli avventori quanto accadutoci facendo toccare l’apice dell’ilarità della sala quando Lodovico con dovizia di particolari ha iniziato a descrivere la “sofferenza” di cui era afflitto per via di quella strana patologia dal nome ridicolo: la vettaiolite

In cammino sulle quattro cime sopra Oropa (Ph. Mauro Carlesso) 

Già subito dopo averlo conosciuto, avevo iniziato ad avvertire dentro di me una strana sensazione che si traduceva in una necessità incontrollabile quando ero in montagna, di raggiungere una cima qualunque fosse, alta o bassa non importava. Le gite in montagna in compagnia di mia moglie, di amici o solitarie che mi avevano sempre appassionato per l'ambiente bucolico coi suoi torrenti, le baite e i pascoli, da quando frequentavo Lodovico avevano assunto un valore in più. Oltre per l'ambiente, pacioso o severo delle Alpi andare in montagna per me era diventato affascinante solo se riuscivo a salire sulle cime: da subito evidentemente, quel suo virus mi aveva contagiato.
Anni di gite, escursioni e scalate con Lodovico mi avevano in seguito sempre più condotto a condividere con lui quella strana malattia che ancora non si trova in nessun compendio medico e per la quale, al momento, pare non esserci alcuna terapia efficacie. 

Le nostre uscite in montagna non si fermavano mai al colle, al valico, all'alpeggio, al rifugio ma si dovevano sempre concludere con il raggiungimento della cima. Insomma proprio come due ammalati di vita esprimevano questa nostra follia virale con la voglia di toccare la vetta, la cima, l'apice della montagna, quel luogo mistico dove non si può più salire ma soltanto scendere. 

Certo non ci voleva molto a capire che quel virus poteva risultare anche fatale. Certe cime ci si obbligava a raggiungerle anche quando stava sopraggiungendo il buio o il maltempo. Ma evidentemente Lodovico, come peraltro io stesso, portavamo forse inconsciamente dentro di noi anche gli anticorpi che disinnescavano la pericolosità del virus consentendoci sempre di ritornare a casa sani e salvi. 

Concludendo devo anche dire che a distanza di tanti anni questo virus del vettaiolo ancora ammalia me e Lodovico e la guarigione sembra lungi dall’essere raggiunta sebbene l’età e gli acciacchi che l’accompagnano ne abbiano ridotto assai l’aggressività. 

Ora per quel che mi riguarda, la vettaiolite si è fortunatamente trasformata in uno stimolo assai più pacato, facendomi rivolgere verso mete più modeste e scevre da pericoli oggettivi. 

Ma quel virus che mi ha trasmesso tanti anni fa l’amico fraterno mi da ancora lo spunto per alzarmi in certe mattine di sole, allestire lo zaino e dirigermi con l’auto fino dove, parcheggiata la stessa, inizio a salire in completa ed appagante solitudine una montagna dalla cui vetta poter respirare ed ammirare un panorama pieno di cielo, di luce e di amore per la vita, per la montagna e per l’amicizia.” 

L’autore e Lodovico (a dx) sulla cima del Monte Arpon (Ph. Lodovico Marchisio)


Mauro Carlesso Scrittore e camminatore vegano

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