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Camminar pensando | 22 ottobre 2022, 08:30

FILOSOFIA IN CAMMINO

SECONDA PARTE - Certo negli ultimi tempi ho fatto anch'io un piccolo salto tecnologico utilizzando le mappe digitali in luogo di quelle di carta. Mappe romantiche quelle di carta e compagne di mille avventure nei deserti solitari di pietre e cielo, prima fra tutte quella dell’aprirle e distenderle per consultarle per poi lottare col vento per ripiegarle

Deserto di pietrame al Sommelier (foto di Mauro Carlesso)

Deserto di pietrame al Sommelier (foto di Mauro Carlesso)

Nel mio taccuino ho annotato parecchie centinaia di cime raggiunte. Cime che vanno da un’altezza di alcune decine di metri di qualche monolite sperduto nei boschi, agli oltre quattromila.

Molte delle montagne delle quali ne ho calcato la cima sono blasonate ma la maggior parte sono montagne minori, secondarie, poco appariscenti, poco frequentate.

Ecco, è proprio quel “poco frequentate” che mi ha sempre attirato e guidato nello scegliere l'itinerario del mio andar per montagne. 
Sempre mi hanno affascinato i luoghi marginali, solitamente impervi, dai lunghi e, solo apparentemente, snervanti avvicinamenti. Luoghi selvaggi o come si usa definire oggi "wilderness". Ho sempre preferito camminare lungo sentieri sbiaditi sulle carte e sui terreni, fermarsi e domandarsi "e adesso dove si va?" e magari chiedere ragguagli a qualche alpigiano che con aria canzonatoria ti liquida con una risposta scarna e quasi mai soddisfacente.

Ho sempre apprezzato montagne solitarie dove intravvedere la sagoma di qualcuno stagliata sul colle che devi raggiungere ti regala un senso di serenità e tranquillità che non ha pari in altri luoghi. Dove incrociare qualcuno, dopo ore di marcia tra pietrami faticosi, ti fornisce un senso di comunità che risulta più forte di qualsiasi altro luogo abitato e vissuto dagli uomini.

Camminare per giorni in compagnia solamente di un compagno è esperienza indimenticabile che ti arricchisce dei silenzi che si sperimentano risalendo valloni, camminando sulle creste, percorrendo crinali o attraversando pendii.

…ormai fuori dai pericoli, ci sleghiamo. Percorriamo il grande ghiacciaio distanti l’uno dall’altro. Siamo soli. Ancora. Come sempre. Ora il mio compagno è un puntino netto e scuro laggiù sulla neve bianchissima. Mi fermo. Ficco la piccozza nella neve arrendevole del pomeriggio. Mi appoggio con entrambe le mani alla becca d’acciaio caldo. Spazio con lo sguardo. Cerco qualcosa, qualcuno. Ma in quel posto non vedo niente e nessuno. Anche il mio compagno è scomparso alla mia vista dietro una gobba di neve. Provo una sensazione contrastata. Dovrei essere abituato. Ma non è così. Ogni volta ciò che provo sulle montagne mi stupisce. Ogni volta ciò che provo in quegli spazi silenziosi e inospitali mi affascinano, mi incantano. Ogni volta quei luoghi così lontani dalle abitudini mi spaventano ma ogni volta, appena posso, in quegli spazi ci torno…

Montagne secondarie: Rocche Parvo - Valle Grana - (Foto di Mauro Carlesso)

Ho sempre amato camminare con uno o due compagni. Non di più. Sempre mi sono tenuto lontano dalle gite sociali o dagli accompagnatori ora tanto di moda. Sempre ho rifiutato di assoldare guide per raggiungere le alte vette: le mie vette sono come i risultati nella vita, frutto solo delle mie scelte e delle mie capacità: nel bene e nel male. Laddove non ho le potenzialità per salire una montagna non cerco la forzatura di un professionista. Non ci salgo e basta. Rinuncio.

Perché anche la rinuncia è un tema significativo che mi affascina benché alle volte abbia un volto straziante. Ma in montagna, metafora della vita per antonomasia, saper rinunciare è basilare: alle volte una rinuncia ti salva la vita.

Ora esistono applicativi di tutti i tipi e per tutti i gusti. Tutte commodity del nostro tempo caratterizzato dalla velocità, dalla frenesia, dalla smania del desiderare, pretendere tutto subito. Per come sono fatto io, per come vedo io la montagna, utilizzare degli strumenti che ti indicano la strada da percorrere equivale ad una sconfitta. Non mi piace sostituire un silente e generoso compagno di avventura con un ologramma.

Seguire pedissequamente una voce o un diagramma che in montagna ti dice dove andare o che ti pianifica la prestazione fisica lo trovo discutibile. Come discutibile mi appare anche la spinta emotiva per l’uso di certa tecnologia ai fini della sicurezza: la rinuncia è il metro con il quale si misurano le proprie attitudini in montagna.

L'umiltà ed il rispetto per il sentiero che calchi, per le rocce alle quali ti aggrappi, ma anche il suono della neve che fai croccare sotto i ramponi sono gli strumenti che ti indicano la via per proseguire, che ti incoraggiano o che, viceversa, ti suggeriscono di smettere, di tornare indietro. Di rinunciare. Che ti salvano la vita.

Poi c'è l'incidente. Capita in montagna come altrove. Anch'io ci sono incappato. Accadde tanti anni fa. Con due amici avevamo raggiunto la vetta del Pizzo Spazzacaldera in Val Bregaglia: scalata piacevole quando, rilassato lungo il sentiero di rientro mi ritrovai a ruzzolare su infidi prati verticali per una trentina di metri. Li non ci sono tecnologie che ti salvano. Solo Dio, se ci credi, o il fato lo possono fare. Come accadde a me quel giorno.

Montagne secondarie: Wasenhorn – Simplonpass- (foto di Mauro Carlesso)

Ed è così, che anche per tutte le ragioni sopra accennate appare chiaro che camminare, specie in montagna, sia un esercizio complesso che gli esseri umani hanno messo a punto da millenni con il solo ausilio dei piedi (da sempre bistrattati…), delle gambe e soprattutto della testa. Si perché per camminare, in particolare in montagna, devi avere testa prima ancora che gambe. E questo si sa. Perché camminare, e questo si sa un po' meno, è un atto spontaneo sia fisico che intellettuale: camminare, come dice anche Duccio Demetrio nel suo pregevole saggio, “…è filosofia”.

Camminare è sempre stato un atto affascinante per l'uomo, un atto che va ben oltre la passeggiata salutista o l'impresa atletica. Non è un caso che sul camminare come atto intellettuale, filosofico e quale metafora della vita si siano avvicendati tutti, dai peripatetici di Aristotele a Platone alla più recente visione poetica del camminare di Hermann Hesse, per passare ad Erling Kagge col suo curioso concetto di camminare come gesto sovversivo, a Rainer Maria Rilke, Thomas Bernhard fino alla provocatoria esperienza del camminare da ecologista ante litteram di  Henry David Thoreau e poi ancora Hessel, Walser, Chatwin fino ai più contemporanei David le Breton, Paolo Rumiz, Robert Macfarlane solo per citarne alcuni.

Ed è dentro le pagine di questi libri, avvicinandomi all’anima di questi autori che ho scoperto quanto sia opportuno evitare qualsiasi ausilio tecnologico per percorrere con testa e cuore quegli infiniti spazi volti alla ricerca di quello stupore che, impulso sottile di ogni camminatore è così ben descritto da Hanna Arendt:"Lo stupore, che è il punto di partenza del pensare, non è né sconcerto, né sorpresa, né perplessità: è uno stupore che ammira…”  (2-SEGUE)

Mauro Carlesso Scrittore e camminatore vegano

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