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CULTURA | 10 marzo 2022, 09:00

L’AUTONOMIA VALDOSTANA E’ UN DIRITTO O UNA CONCESSIONE AI SUDDITI “INTRA MONTES ?”

Appuntamento settimanale del giovedì con Gianfranco Fisanotti sui temi dell'autonomia valdostana, sulla sua evoluzione, sulla sua involuzione, sui personaggi che hanno creato le premesse e su chi non ha saputo valorizzarla

L’AUTONOMIA VALDOSTANA E’ UN DIRITTO O UNA CONCESSIONE AI SUDDITI “INTRA MONTES ?”

Per dare una pallida idea del circuito vizioso che investe il cannibalismo politico meglio noto come lotta di potere, ho citato una frase di Pietro Nenni sul concetto di libertà e di democrazia. La cronica divisione delle forze politiche autonomiste è la cartina di tornasole di un malessere profondo della politica valdostana. Negli anni del dopoguerra il sogno dei nostri giovani era di avere un posto al Casinò o alla Regione; adesso, c’è la CVA che offre prospettive di lavoro e di benessere. Vi parlo, poi, della eutanasia dell’Autonomia Valdostana e di un conformismo culturale infilato nei corridoi della cultura dominante: pare sempre più sbiadita l’identità di questo nostro piccolo popolo in balia del Governo che passa e delle “riserve” che gravano sulle nostre effettive competenze statutarie. Il progetto di autonomia di Joconde Stevenin è stato completamente abbandonato e lo stesso Consiglio regionale non è certo “l’autorité suprême de la Région excluant toute intervention de mandataires ou officiers du Gouvernement central”. Insomma, non è mai stato digerito il concetto che la Regione è essa stessa – con le altre Regioni – “Stato”. È venuto meno per l’Italia il concetto stesso di Stato federale e questa mancanza di visione istituzionale ha oscurato il dialogo tra il diritto e la politica, mortificando sia la prima che la seconda Repubblica. Ecco perché il popolo valdostano ha bisogno di verità intere: dobbiamo davvero uscire dal “divide et impera” che ha caratterizzato gli ultimi secoli di storia europea. L’autonomia, così com’è ridotta, non tutela né le aspettative né i diritti secolari del popolo valdostano. La nostra classe politica locale dovrebbe svoltare verso scelte in grado di dominare la finanza senza imbalsamare l’economia: non è in gioco solo la sorte della CVA – così strategica per il futuro della Vallée – bensì il destino delle nuove generazioni cresciute nella logica di Roma doma, mentre l’Europa della finanza ha sostituito l’Europa dei popoli. È proprio vero: “nebbia che resta nell’aria porta la pioggia in basso”: “nebbia que reste in l’air baille bà d’éve”.

IL POTERE

UNA FRASE DI PIETRO NENNI

Ogni Paese, ogni Città, ogni Regione, ogni Comunità ha la classe politica che si merita perché è stata eletta democraticamente; quindi, nulla da dire sulla fonte del potere che è la democrazia. La mina vagante del potere democratico è la ricerca ad ogni costo e con ogni mezzo del consenso, che spesso travolge anche le migliori intenzioni di servire e non di servirsi della cittadinanza. Il tema è un altro ed è l’obiettivo primario di chi viene eletto per gestire la cosa pubblica cioè l’interesse dei cittadini. Se tale obiettivo è quello della rielezione, cioè è finalizzato al potere, allora si mette in moto un circuito vizioso non privo di insidie per la pubblica amministrazione.

Certo, è naturale che chi è stato eletto voglia poi cercare una riconferma; ma questo ritorno deve essere preceduto da un buon lavoro al servizio della Comunità e non dal cannibalismo politico meglio noto come “lotta di potere” che esula dagli interessi della popolazione per servire giochi di squadra e di appartenenza, per mantenere alleanze funzionali fini a se stesse, anche a detrimento di altre possibili convergenze ancorate al pubblico interesse. Ricordo una frase di Nenni a proposito della lotta per il potere: “La lotta per il potere è un’altra cosa e si pone per noi in termini di libertà e democrazia” (Diario, sett. 1959). Il politico deve lavorare “erga omnes” e non “pro domo sua” !.

La cronica divisione delle forze politiche autonomiste e federaliste non è certo un bel biglietto da visita per la popolazione chiamata a scegliere i propri rappresentanti. Anche l’idea di allineare le alleanze in base al tipo di forze politiche del governo nazionale può servire, come si è visto, per ottenere qualche risultato; ma la strada maestra è quella dei diritti, della lotta per ciò che spetta, evitando l’idea stessa di dazione “per grazia ricevuta” dal Ministro in carica. Il tema è un altro ed è l’obiettivo primario di chi viene eletto per gestire la cosa pubblica cioè l’interesse dei cittadini. Se tale obiettivo è quello della rielezione, cioè è finalizzato al potere, allora si mette in moto un circuito vizioso non privo di insidie per la pubblica amministrazione.

 Sul piano della ricerca del consenso, la politica ricorre troppo spesso a scorciatoie del tipo: “Ti trovo un posto di lavoro” al Casinò od in qualche partecipata, anche a costo di sovraccaricare di personale  l’azienda in questione che può essere uno dei tanti “satelliti” dove, senza esporsi, arriva silenziosa e suadente la longa manus del politico in carica. Questi errori, a lungo termine, si pagano ed il costo si abbatte proprio sulla pelle del personale e, poi, in definitiva sulle casse regionali costrette a supplire per garantire regolarità e continuità amministrative in linea con la normativa in vigore, che non può accettare né bilanci fasulli né rimasugli di contabilità tutte da verificare.

L’EUNANASIA DELL’AUTONOMIA VALDOSTANA

(“Tout s’est bien passé” ?)

LE REGIONI SONO “STATO”

Recentemente, alla Croisette di Cannes per il festival del cinema del 2021, è stato proiettato l’ultimo film di François Ozon sul tema dell’eutanasia, dove si rivendica il diritto di evitare la via crucis di dolori in fine di vita e di scegliere la propria sorte vitale. “Tout s’est bien passé” misura una tematica che da secoli è contrastata dalle leggi in vigore. L’autonomia valdostana è malata da tanto tempo, anche perché è stata denutrita e privata di molte energie vitali per la sua crescita. Tornano in mente le frasi che sollecitavano il plebiscito negato: “Valdôtains soyons unis, c’est de nos intérêts qu’il s’agit…. Ou maintenant ou jamais !!”  . 

 Spento ogni entusiasmo per i diritti secolari, ridotta al lumicino la pratica della lingua francese, sopportato a mala pena il patois franco-provenzale comne se fosse la lingua di gente che non sa parlare bene l’italiano, ignorata la grande ricchezza dei patois nei diversi Comuni valdostani, il percorso federalista si è fermato al capezzale di una Regione, che ha trovato nel conformismo culturale la cifra del suo adattamento ai corridoi della cultura dominante, dove la langue de Molière è un lusso per pochi addetti ai lavori ed il patois un cibo linguistico difficile da digerire. Mentre tutte le Regioni d’Italia sono orgogliose dei loro dialetti e li difendono parlandoli in tutte le famiglie, in Valle d’Aosta il patois è trattato come un esperimento di comunicazione e già a partire da Saint- Vincent subisce l’influenza della lingua  piemontese che la fa da padrona.

Quando la vita di una Regione, sia essa la Lombardia o il Veneto -  che pure sono il vero motore dell’economia Italiana insieme alla Liguria ed alla Emilia Romagna – è lasciata in balia del Governo che passa o della maggioranza emergente nelle aule parlamentari, viene meno proprio la base di una autodeterminazione verso frontiere federaliste ben visibili ed autonome nelle corsie istituzionali di uno Stato unitario.

Finché non sarà completato il cammino previsto dalla Costituzione Italiana che lasci allo Stato poche e chiare competenze in materia di difesa, di politica estera, di ordine pubblico, di giustizia e di finanza statale, riservando alle Regioni ogni altra competenza primaria e di integrazione, le “riserve” gravanti dagli interessi statali saranno decisive e tali da condizionare l’autonomia delle Regioni.

L’eccessiva cessione di sovranità nazionale all’Europa rischia di aggravare maggiormente ed ulteriormente la limitazione delle libertà regionali specie quando investe materie afferenti alla quantità ed alla qualità dei prodotti alimentari italiani. Nel caso, poi, della Valle d’Aosta le ali dell’autonomia politica ed economica sono state tarpate sin dall’inizio, nei tre anni seguiti alla caduta del Regime.

 L’articolo 5 del progetto di statuto di Joconde Stevenin che recitava: “Le Conseil Régional constitue l’autorité suprème de la Région, excluant toute intervention de mandataires ou officiers du Gouvernement central” fa sentire la sua mancanza come dimostrano 73 anni di vita regionale abbarbicata agli umori del potere centrale.  Il potere dello Stato si è fatto sentire a più riprese e si è passati così dalla logica dei “diritti” a quella delle “concessioni”.

IL POPOLO VALDOSTANO HA BISOGNO DI “VERITA’ INTERE”

ANTONIO MACHADO: “IL SENTIERO SI FA CAMMINANDO”…

Mi sono spesso domandato a che cosa serva un’ autonomia soffocata in fasce dai sopravvissuti di un Regime timorosi di cedere alle Regioni una quota parte di effettivo potere statale, ignorando che “ le Regioni sono Stato” . Mi chiedo a che cosa serva immaginare un avvenire autonomista e federalista sull’esempio di Émile Chanoux, se solo poche forze politiche guardano oggi in quella direzione, mentre altre addirittura la ostacolano.

Infine, vale la pena di ricordare che il popolo valdostano ha bisogno di conoscere “verità intere” sul suo passato, spazzando via ogni cortina fumogena sui personaggi che hanno determinato il destino di una civiltà in tramontana rimasta nelle pieghe della Storia ed ignorata sia dallo Stato che da un’Europa  incapace di superare la somma degli Stati Nazionali .  Abbiamo visto  quant’è tortuoso il sentiero dell’Autonomia.

Vale la pena ricordarla bella poesia di Antonio Cipriano Machado (1875-1939) intitolata “Caminante”: “Viandante, sono le tue orme / il sentiero e niente più; / viandante, non esiste il sentiero, / il sentiero si fa camminando./ Camminando si fa il sentiero / e girando indietro lo sguardo / si vede il sentiero che mai più / si tornerà a calpestare”. Ed ancora: “Il poeta morì lontano dal focolare./ Lo copre la polvere di un paese vicino./ Allontanandosi lo viderono piangere./ «Viandante non esiste il sentiero,/ il sentiero si fa camminando…».

 Il centralismo statale altro non è che il propagarsi di quel “divide et impera” (“il diviser pour régner” che piaceva tanto anche a Luigi XIV°) di romana memoria risalente però al IV° secolo a.C. quando Filippo il Macedone assunse come divisa ed orientamento del suo potere il “diàrei kài basileue” che vuol dire la stessa cosa.

Gian Franco Fisanotti

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