Il Prof. Dino Vierin ci serve una pagina di Storia locale che restituisce il passaggio dal sistema feudale a quello moderno con un primo piano sul riscatto delle “charges” di natura feudale che, nel 1771, rese possibile l’acquisto del demanio idrico e forestale da parte delle autorità comunali del Ducato. L’analisi prosegue con l’evidente contraddizione della legge Bonomi del 1915 che ha attribuito allo Stato un diritto di proprietà delle acque valdostane senza averne titolo legittimo, per la semplice ragione che esse non facevano più parte del demanio statale. Il memoriale cita poi le proposte di Federico Chabod e di Joconde Stevenin e la attribuzione in forma di concessione per novantanove anni delle acque pubbliche valdostane scritta nel DL 7 settembre 1945, n. 546. Si tratta di una concessione limitata e condizionata dall’incombere del potere statale, fatto questo ribadito dall’Assemblea Costituente che pose la “riserva” dell’interesse nazionale sulla concessione delle acque, bocciando con 100 voti contrari e 178 favorevoli la proposta della Commissione Parlamentare di attribuire alla VDA la competenza per Acque pubbliche ed Energia Elettrica. La ricostruzione del Prof. Vierin ci porta, infine, alla svolta del 2000, quando per la seconda volta la Vallée paga per poter utilizzare le sue acque, con la cessione del ramo d’Azienda ENEL in Valle d’Aosta: una svolta davvero basilare, che all’epoca ben pochi hanno capito non cogliendo l’ampleur (l’importance étendue) di una coraggiosa iniziativa di un Presidente che ha restituito dignità alla nostra Autonomia.
IL PASSAGGIO DAL SISTEMA FEUDALE AL SISTEMA MODERNO: LA RISCATTABILITA’ DELLE “CHARGES” DI NATURA FEUDALE
Nel XVIII° secolo, nel passaggio dal sistema feudale al sistema moderno, lo Stato sabaudo, con l’editto del 19 dicembre 1771, abolisce “les charges” di natura feudale prevedendone la riscattabilità. A tal fine, le autorità comunali valdostane si rendono acquirenti del demanio idrico e forestale della Valle d’Aosta, anticipando a beneficio dei signori feudali e della tesoreria reale le somme che i privati non erano in grado di pagare. I Comuni valdostani corrispondono così, a prezzo d’oro, la somma di circa 780.000 lire e la “Royaledélégation” stipula i conseguenti atti liberatori (affranchissements), atti regolarmente depositati alla Corte dei Conti degli Stati sabaudi.
Bene non più facente parte del demanio dello Stato, le acque valdostane non avrebbero pertanto dovuto essere inserite negli elenchi redatti ai sensi della legge Bonomi del 1915, avente per oggetto la demanializzazione di tutte le acque per le quali non si potessero far valere diritti di proprietà e di utenza basati su titoli legittimi. Invece, con l’estensione della demanializzazione anche alle risorse idriche della Valle d’Aosta, lo Stato non solo si riconobbe un‘autorità regolativa, ma, con un atto espropriativo, si attribuì un diritto di proprietà.
Il contenzioso che ne seguì –lungo pesante e diffuso – avrebbe dovuto essere definito dal Tribunale delle Acque, quando il regime fascista, dopo aver tentato invano e a più riprese transazioni derisorie per i Comuni, impone ai podestà il recesso dalla vertenza giudiziaria. E siccome la maggior parte dei podestà si rifiuta di aderire, nel 1943, li sostituisce con commissari delegati appositamente a firmare una transazione illegittima giuridicamente e rovinosa per i Comuni in quanto comportava la rinuncia alla proprietà delle acque a favore dello Stato.
Naturale, quindi, che, alla caduta del regime fascista, unanime sia stata la richiesta, da parte dei valdostani, del riconoscimento della proprietà delle acque pubbliche, quale “vero e proprio diritto”, stante la nullità della cosiddetta “transazione fascista”. Tale richiesta ha avuto un ruolo centrale nelle motivazioni che hanno condotto alla conquista dell’autonomia e trova riscontro nei vari progetti e proposte di riconoscimento dell’autonomia della Valle d’Aosta.
LA CADUTA DEL FASCISMO E LE PROPOSTE DI FEDERICO CHABOD E DI JOCONDE STEVENIN
Federico Chabod prevede che le acque siano, per legge, dichiarate proprietà della Regione. Monseigneur Stévenin que “sont reconnues propriété de la Région toutes les eaux publiques et les richesses du sous-sol de la Vallée”. Il C.L.N. stesso, per far fronte alle tendenze annessionistiche, promette e riconosce la proprietà pubblica regionale delle acque.
Dopo la liberazione, esauritasi la spinta separatista con il rifiuto di plebiscito, nel corso delle trattative per l’ottenimento dello statuto di autonomia, tali rivendicazioni incontrano però forti resistenze, in particolare per l’opposizione, ancora una volta, anche se in forme diverse rispetto al passato, deigrandi gruppi industriali della sottostante pianura.
I provvedimenti approvati, lungi dal riconoscere tale diritto, non consentono, quindi, alla comunità valdostana di essere partecipe delle decisioni e dei benefici correlati all’utilizzo delle sue acque, usufruendo la stessa, di fatto, unicamente di briciole sotto forma di sovra-canoni.
Il d.l.lgt 7 settembre 1945, n. 546 attribuisce,infatti, alla Valle d’Aosta le acque pubbliche, non a titolo originario quale demanio idrico, ma, a titolo derivato in forma di concessione novanta novennale, gratuita e rinnovabile. Acque pubbliche che, peraltro, non avessero già formato oggetto di riconoscimento di uso o di concessione. E ciò a patto che l’utilizzazione delle acque sub concesse avvenisse nel territorio dello Stato italiano e secondo un piano generale concordato tra Ministero competente e Valle d’Aosta.
Anche il progetto di Statuto approvato dal Consiglio Valle nel 1947 stabilisce espressamente che tutte le acque pubbliche rientrano nel demanio regionale.
In sede di Assemblea Costituente, la proposta della Commissione Parlamentare di attribuzione della competenza alla Regione per le Acque pubbliche e l’Energia Elettrica è statarespinta con 180 voti contrari e 178 favorevoli. Né miglior fortuna ha avuto la proposta di inserimento nello Statuto di una norma che stabilisse che “I beni appartenenti al Demanio pubblico dello Stato a norma degli art. 822 e seguenti del codice civile, esistenti nella Regione, sono assegnati a questa, ad eccezione di quelli che interessano la difesa dello Stato e servizi di carattere nazionale”.
E cosi lo Statuto di Autonomia, mentre, quale elemento di novità, trasferisce al demanio della Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile, cassa definitivamente il diritto alla proprietà per le acque ad uso idroelettrico, riprendendo, sostanzialmente, la norme del 1945. E cioè, la concessione gratuita e rinnovabile per novantanove anni, ad eccezione delle acque che alla data del 7 settembre 1945 avessero già formato oggetto di riconoscimento di uso o di concessione.
IL PESO DRAMMATICO DELLA “RISERVA” DELL’INTERESSE NAZIONALE SULLA CONCESSIONE DELLE ACQUE
Tale concessione, peraltro, era subordinata, in ogni caso, alla condizione che lo Stato non intendesse far oggetto le acque di un piano di interesse nazionale.
Questa riserva avrà un peso fondamentale e si dimostrerà foriera di interpretazioni e di decisioni contrarie al diritto della Regione, in modo particolare, nel corso degli anni 60, con la creazione dell’Enel.
Se, infatti, al momento dell’approvazione dello Statuto, il settore elettrico era ancora dominato dalla grande industria privata, lo scenario cambia radicalmente all’inizio degli anni sessanta, quando a livello italiano, le forze della sinistra conseguono l’obiettivo, da esse perseguito fin dal primo dopoguerra, di pervenire alla gestione pubblica del settore energetico. Gestione pubblica che in Valle d’Aosta viene intesa come gestione regionale.
Nulla di più sbagliato, poiché la legge istitutiva dell’Enel, vanificando quanto attribuito dallo Statuto, stabilisce il monopolio dell’Enel per quanto riguarda la produzione, l’importazione, l’esportazione, il trasporto, la trasformazione e la vendita dell’energia elettrica.
Le Regione, analogamente al Trentino-Sud Tirolo, presenta ricorso alla Corte Costituzionale in ordine alla legittimità dell’intervento statale. Il ricorso viene respinto invocando il rispetto degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, di cui all’art. 2 dello Statuto, nonché la riserva di cui prima, e cioè l’intenzione dello Stato di fare oggetto le acque di un piano di interesse nazionale.
A partire dal 1992, la trasformazione dell’Enel in Spa e, di conseguenza, la sua sostanziale privatizzazione, ha però aperto nuovi scenari.
Innanzitutto, sul piano giuridico, potendo ipotizzare il venir meno di quei requisiti che avevano giustificato,nel 1964, la pronuncia della Corte Costituzionale in danno della Regione. E poi, nelle more della definizione della questione della proprietà,le opportunità e l’occasione offerte dal decreto Bersani del 1999, che dava applicazione in Italia alla direttiva europea in materia di liberalizzazione dell’attività di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia elettrica.
LA SVOLTA DEL 2000: PER LA SECONDA VOLTA LA VALLE D’AOSTA PAGA PER POTER UTILIZZARE LE SUE ACQUE
Nel 2000, i vertici dell’Enel vengono ad Aosta a presentare la strategia e la nuova struttura organizzativa della società. In tale contesto, in attuazione delle linee guida fissate dal piano energetico regionale, si stipula quindi un’intesa per la cessione del ramo d’azienda Enel in Valle d’Aosta. Ramo d’azienda confluito successivamente nella Compagnia valdostana delle acque, società costituita nel 1995 a seguito dell’acquisizione da parte della Regione, nell’ambito dell’operazione “Cogne”, delle tre centrali idroelettriche di proprietà dell’Ilva.
Il costo dell’operazione – è la seconda volta che paghiamo per poter utilizzare le nostre acque - è stato di 378 milioni di Euro per acquisire il 100% del settore della produzione (le centrali + gli immobili) e di 18 milioni di euro per il 49% della Deval operante nel settore della distribuzione. Per finanziare l’operazione, nel maggio del 2001, a Londra sono stati emessi sul mercato internazionale dei bond, ovvero un prestito obbligazionario per oltre 500 milioni di Euro. Le richieste di sottoscrizione sono state in misura doppia rispetto al valore di emissione con un business plan che prevedeva un rientro dell’investimento nell’arco di 10 anni. La bontà dell’operazione, a dire il vero apprezzata più all’esterno della Valle che non al suo interno – ricordiamo le critiche e lo scetticismo allora espressi – è stata attestata dal rientro dell’investimento già dopo i primi 5 anni e dalle numerose richieste, pervenute dall‘Italia e dall’estero, di partenariato o di acquisto per un valore almeno il doppio del prezzo corrisposto.