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CRONACA | 05 agosto 2021, 12:56

Una sentenza destinata a cambiare il ruolo politico degli amministratori pubblici

La sentenza della Terza Sezione Centrale di Appello della Corte dei Conti si è abbattuta come una scure sulla politica valdostana, condannando 18 tra attuali ed ex amministratori regionali a risarcire 16 milioni di euro nell'ambito del giudizio contabile sui 140 milioni di euro di finanziamento alla società Casinò de la Vallée Spa tra il 2012 e il 2015

Una sentenza destinata a cambiare il ruolo politico degli amministratori pubblici

Una sentenza, quella depositata il 30 luglio dal presidente del collegio, Luciano Calamaro, che ha cercato di dare come si suol dire 'un colpo al cerchio e uno alla botte', avendo dovuto tenere attaccato con delle puntine un impianto accusatorio che, alla prova dei fatti, si è dimostrato non così granitico come la Procura regionale prima e la Procura generale poi avevano invece sostenuto.

Prova ne è che l'appello della Procura è stato rigettato perché giudicato inammissibile.

I giudici di secondo grado, però, hanno ravvisato comunque la colpa grave nell'intera maggioranza politica che il 23 ottobre 2014 in Consiglio regionale votò la delibera di rafforzamento patrimoniale nei confronti della Casinò de la Vallée Spa, sulla base di un parere tecnico di legittimità ritenuto legittimo sia in primo che in secondo grado, visto che né la Procura regionale né la Procura generale l'hanno contestato.

E questa è soltanto la prima delle contraddizioni presenti in questa sentenza, che ha condannato i consiglieri regionali di allora per il loro voto favorevole in aula nonostante fossero pienamente consapevoli - secondo i giudici - della situazione di difficoltà economica in cui versava il Casinò.

Fermo restando il fatto che, ovviamente, una società viene ricapitalizzata (anche e soprattutto) quando versa in condizioni di difficoltà, quello che i giudici nelle motivazioni hanno saltato letteralmente a piè pari è stata la valutazione delle ragioni che hanno portato ai bilanci in rosso negli anni 2012, 2013 e nella prima parte del 2014, visto che dalla semplice lettura dei verbali delle audizioni tecniche nelle commissioni e del verbale della seduta del Consiglio regionale del 23 ottobre 2014, si evince in maniera pacifica che dei 41 milioni di euro di passivo di quegli anni, oltre 19 milioni erano riconducibili allo stralcio contabile legato alle demolizioni e la restante metà era legata all'operatività fortemente ridotta della casa da gioco, tenuta comunque aperta nonostante i lavori di ristrutturazione e messa a norma al suo interno.

Eppure nulla di questo si rinviene anche solo come accenno in sentenza.

Per poi arrivare al passaggio in cui i giudici condannano apertamente il comportamento dei consiglieri, che secondo loro avrebbero potuto e dovuto valutare altre strade oltre all'operazione di ricapitalizzazione. Prima fra tutte, quella della messa in liquidazione della società. Ammesso e non concesso che altre soluzioni furono all'epoca comunque approfondite, compresa la vendita a terzi del complesso, sfumata per la mancanza materiale dei terzi interessati, la scelta politica di provvedere al rafforzamento patrimoniale della società fu adottata per la salvaguardia del suo valore patrimoniale e del suo know-how nell'ambito dell'oligopolio legale in cui era inserita, anche alla luce di una casa da gioco e di un Grand-Hôtel Billia riconsegnati nuovi di zecca appena qualche mese prima, al 31 dicembre 2013.

Il fatto, poi, che a fine 2018 - quindi diversi anni dopo la delibera oggetto di condanna e dopo scelte di gestione tutt'altro che azzeccate (leggi applicazione della procedura Fornero nel 2017, che ha appesantito i conti aziendali per 20 milioni di euro) - la Casinò de la Vallée Spa sia stata comunque ammessa alla procedura di concordato preventivo in continuità e non dichiarata fallita dal Tribunale di Aosta, sembra mettere ulteriormente in dubbio la prospettazione accusatoria di una società in stato di decozione irreversibile già ne 2014.

Ma tant'è, giusta o ingiusta, la sentenza di appello è stata emessa e per la giurisdizione della Corte dei Conti, il secondo grado di giudizio corrisponde anche con l'ultimo grado di merito.

Alle difese, ora, rimane la possibilità - tra le altre - di proporre ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione per difetto di giurisdizione, sostenendo che la delibera approvata dalla maggioranza nella seduta del Consiglio regionale del 23 ottobre 2014 fu espressione di una scelta politica, discrezionale, corredata quale presupposto dai necessari pareri tecnici di legittimità e sostenuta da tutti gli stakeholders auditi in commissione, organizzazioni sindacali e operatori economici del territorio compresi.

Quel che è certo è che la sentenza depositata il 30 luglio dalla Terza Sezione Centrale di Appello della Corte dei Conti, a oggi, costituisce un precedente di portata epocale per la politica, a qualsiasi livello, e per tutti gli amministratori pubblici italiani.

Basti pensare ad Alitalia e alla galassia delle municipalizzate: ci sarà ancora chi assumerà scelte politiche a riguardo? E chi se le è già assunte, a cosa andrà incontro?

Angelo Brunetti

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