Icontenuti della prima lettera pastorale di Mons. Lovignana «Vivere la bellezza e la gioia di essere cristiani!» sono stati resi noti la scorsa settimana. Con il Vescovo abbiamo ancora voluto soffermarci su alcuni temi nella speranza che la lettera sia oggetto di profonde riflessioni che possano trovare spazio anche sul settimanale diocesano.
Fabrizio Favre, Ecc.za, redigere un documento come la lettera pastorale che deve dare un’impronta a tutto il cammino della comunità diocesana è indubbiamente un’operazione complessa. Quali attenzione ha avuto nel trascriverla?
"Spero di aver tenuto davanti agli occhi innanzitutto le persone e le comunità che mi sono affidate con i loro pastori, spero di aver toccato la loro vita, le domande che stanno nei loro cuori e nelle loro menti. La seconda attenzione è stata per l’essenziale della vita cristiana che è la fede in Gesù Cristo che ci dona lo Spirito e ci conduce al Padre; tutto il resto viene dopo… Infine ho cercato di raccogliere le indicazioni che ci sono venute dal Santo Padre per l’Anno della fede e dagli Orientamenti pastorali della CEI per questo decennio che ci impegnano a lavorare per educare alla vita buona del Vangelo".
Qual è il primo bilancio di questi mesi da Vescovo? E in che cosa questa lettera riflette il suo operato in questi mesi? Non vorrei parlare di bilancio e, se proprio si dovesse farne uno, credo che per ora sia prematuro. In questi mesi, incontrando confratelli, fedeli, religiosi, comunità, ho percepito che c’è spazio di annuncio del Vangelo in mezzo alla nostra gente, che c’è domanda di ‘spiritualità’. Tutto ciò mi fa pensare che dobbiamo essere cristiani più convinti e comunità più accoglienti per essere sale della terra e luce del mondo come Gesù ci chiede. Da qui parte la nuova evangelizzazione, da noi stessi".
Il tema scelto indica la volontà di concentrarsi sui fondamentali della fede. E gli interlocutori privilegiati di questo maggiore radicamento mi sembra che siano inevitabilmente le comunità parrocchiali….
"Il tema ci è stato dato dal Papa Benedetto con l’indizione dell’Anno della Fede.
"Da parte mia insisto perché questa celebrazione non si risolva nell’aggiunta qua è là di iniziative o eventi, ma venga colta come invito ad andare in profondità nella nostra vita di cristiani. Insisto nel dire che questo deve avvenire nell’ordinario, nella quotidianità della vita personale e comunitaria. Dobbiamo riprenderci in mano, riprendere coscienza che è proprio bello essere cristiani, che è una grazia grande. È solo a partire da questa esperienza che può scaturire la missione. Non dico così con leggerezza: so bene che essere cristiani è sempre stato difficile e oggi è difficilissimo. Penso ai ragazzi e ai giovani a scuola, nello sport, nel divertimento; penso agli adulti nei luoghi di lavoro; penso alle scelte che una famiglia deve fare per rimanere coerente con il Vangelo. Per questo motivo coniugo la bellezza e la gioia di essere cristiani anche con la fierezza esprimendola con le parole di san Paolo che, scrivendo ai Romani, dice: io non mi vergogno del Vangelo perché so che è la potenza di Dio per la salvezza di tutti. Gli interlocutori privilegiati siamo ognuno di noi, nella consapevolezza che la fede ci è donata da Dio dentro e attraverso la vita di una comunità e che solo con gli altri può essere vissuta in pienezza. Per questo motivo le parrocchie, cioè la Chiesa nella sua dimensione concreta ed immediata, sono il luogo ordinario dell’esperienza di fede, a cui conducono e/o si riconducono anche altri cammini ecclesiali legittimi e oggi assai importanti quali sono le associazioni e i movimenti laicali".
Premesso che il documento va letto nella sua integralità quali sono i passaggi che lei ritieni più importanti?
"Ho cercato nelle poche pagine di dare uno sviluppo logico all’invito a riscoprire e ravvivare la fede e l’ho fatto seguendo la Lettera del Papa Porta fidei. Non credo per tanto di evidenziare qui dei passaggi particolari. Del resto la Lettera può essere letta in pochissimo tempo e da parte di tutti, senza fatica. Semmai potrei richiamare le tre attenzioni sulle quali chiedo di investire preghiera, riflessione, confronto e programmazione: •la presenza della Chiesa sul territorio, avendo come punto di riferimento la vita della parrocchia e la sua animazione, con al centro il ministero pastorale del parroco; •la pastorale vocazionale, nella certezza che Dio continua a chiamare e che non vengono meno la generosità e l’entusiasmo dei giovani, quando la comunità sia in grado di accogliere ed accompagnare i semi divini di vocazione e le aperture di cuore dei chiamati; •il rapporto della Chiesa con l’ambito sociale e politico, mettendo in valore i carismi di servizio della vita religiosa e il volontariato evangelico, ma anche la disponibilità permanente di alcuni fedeli a servizio del bene comune laddove questo si decide e si gestisce".
La sottolineatura della carità politica mi appare come un richiamo importante al mondo cattolico… da dove è nata la necessità di inserire da subito questo passaggio all’interno della sua prima lettera?
"Mi pare che da tempo il Santo Padre e la Conferenza Episcopale Italiana, anche per bocca del suo Presidente, ripetano che questa è una urgenza. Personalmente credo che sia davvero necessario che questa attenzione abbia uno spazio chiaro e ben definito alla luce della Dottrina sociale della Chiesa nei nostri cammini di catechesi e di formazione per ragazzi, giovani e adulti. Non concepisco questo passaggio come una ‘chiamata alle armi’ ma come un’assunzione di responsabilità da parte della comunità cristiana, in uno spirito di servizio coerente con il Vangelo dell’amore di Dio per tutti gli uomini che annunciamo e che cerchiamo di testimoniare nella carità fraterna. La carità è il gesto discreto e nascosto (elemosina, pazienza, attenzione fraterna, perdono…) che un cristiano compie nel segreto, ma è anche il servizio generoso, gratuito e prolungato nel tempo come fanno tanti volontari credenti. La carità è ancora il contributo che il cristiano come tale può dare nel pensare, decidere e reggere la società nel momento politico delle decisioni, nel momento dell’amministrazione della cosa pubblica e nel momento della progettazione e della gestione delle politiche sociali di una comunità sia essa locale che nazionale. I cattolici non si impegnano per difendere una visione del mondo che vogliono imporre ad altri come spesso vengono dipinti; si impegnano per difendere e promuovere la persona umana, la sua vita, la sua famiglia, la sua libertà, il bene comune".
Alla fine del documento lei si riallaccia all’attività pastorale di Mons. Anfossi. In questo passaggio quali sono gli elementi nuovi e quali quelli di continuità?
"Nella mia lettera per gli Orientamenti pastorali di quest’anno, precisamente laddove invito la diocesi ad approfondire alcune attenzioni che mi paiono prioritarie, rinvio ad un testo che Mons. Anfossi ci ha consegnato al termine di due visite pastorali complete di tutte le parrocchie della Valle. Si tratta di un discernimento pastorale frutto del ministero episcopale, della sua esperienza e del lavoro svolto con sacerdoti e comunità e condiviso con i Consigli diocesani. Per questo motivo costituisce un punto fermo sul quale porre i piedi per continuare a camminare. La continuità è data dal medesimo ministero apostolico che oggi tocca a me reggere dopo di lui, dalla medesima Chiesa che serviamo assieme a tutti i sacerdoti e diaconi, dal medesimo Vangelo di Gesù che ci guida e ci illumina".
Un pensiero sulla scomparsa del cardinal Carlo Maria Martini?
"Il Cardinal Martini è stato un grande uomo, un grande cristiano e un grande pastore e non è possibile racchiudere la sua testimonianza e il suo insegnamento in poche parole. Molti rimasero stupiti quando il beato Giovanni Paolo II scelse lo studioso Martini come Vescovo e come Vescovo di una delle più prestigiose diocesi del mondo. In realtà fu – come spesso accadde nel suo pontificato – un gesto profetico. Da subito il Vescovo di Milano divenne un punto di riferimento oltre che per la sua diocesi anche per la Chiesa italiana e non solo. Vorrei qui soltanto ricordarlo per averci richiamato alla centralità della Parola, al primato della contemplazione, alla bontà sempre del dialogo con tutti".
Un’ultima parola che vorrebbe dire alla Diocesi e che non è contenuta in questa lettera?
"A tutti vorrei suggerire in questo Anno della Fede la preghiera di quel padre che incontriamo nel capitolo nove del Vangelo di san Marco. Era venuto da Gesù, non ne poteva più, temeva di perdere quel figlio che amava. I discepoli del maestro non erano riusciti a fare nulla e allora si avvicina timido al Signore: se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci. È bella questa scena perché ci dice che tutti, proprio tutti possiamo avvicinarci a Gesù, portando la verità della nostra vita, con disperazioni, speranze, dubbi e certezze; Gesù non chiede esami previi. Gesù gli risponde: Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede. Ed ecco allora la preghiera, umile, vera e fiduciosa di quel papà, la preghiera che a tutti consiglio: Credo; aiuta la mia incredulità!".










