La procura di Aosta ha chiuso le indagini sulle cave di estrazione di marmo verde di Issogne, un dossier aperto all’inizio dell’anno e che aveva già portato al sequestro temporaneo delle attività. Nei giorni scorsi gli avvisi di conclusione delle indagini sono stati notificati a sei indagati: Marino Dal Bosco, Renato Dal Bosco e Christian Dal Bosco della cava Verde Alpi – che è stata dissequestrata – e Attilio Bencaster, Nicolò Bencaster e il loro tecnico Fabio Croatto della cava Priod-Savino, che invece resta sotto sequestro.
Le accuse a vario titolo riguardano il mancato rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro e violazioni delle regole sull’estrazione del marmo. La posizione di un dirigente regionale è stata stralciata, con un probabile archiviazione. Gli indagati avranno ora venti giorni per farsi interrogare o presentare memorie difensive. Nel frattempo, un settimo coinvolto, subappaltatore della cava Priod-Savino, ha già patteggiato una pena di due mesi.
L’inchiesta, coordinata dal pm Giovanni Roteglia, affonda le radici nell’autunno 2024, quando un professore di geologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia notò, aprendo un sacchetto di pietrine ornamentali acquistate per bricolage, una polvere biancastra dal sospetto aspetto fibroso. La segnalazione, passata tramite l’Arpa, arrivò infine ai carabinieri, dando il via a una delle indagini ambientali più delicate degli ultimi anni.
I controlli del Reparto operativo, guidato all’epoca da Tommaso Gioffreda, confermarono che le pietre provenivano dalle cave dei fratelli Marino e Renato Dal Bosco. Le verifiche si estesero quindi anche alla società Cave Priod, oggi di proprietà di Alessandro Bencaster, e all’intera filiera di estrazione e distribuzione del marmo verde.
Non sono sfuggiti agli investigatori nemmeno i procedimenti autorizzativi dell’assessorato regionale delle Opere pubbliche, Dipartimento ambiente – settore Attività estrattive, diretto da Luigi Pietro Bianchetti, indagato per presunte irregolarità nelle procedure e nei controlli. La polizia mineraria, infatti, non effettuava ispezioni regolari nelle cave dei Dal Bosco e in altre strutture simili.
La chiusura delle indagini porta però anche elementi nuovi. Per i fratelli Dal Bosco, inizialmente al centro della contestazione, la posizione è stata ridimensionata: una volta rilevata la presenza di amianto, le volate in cava furono interrotte e adottate le misure necessarie per riportare i parametri nei limiti di legge.
Intanto, l’impresario veneto subappaltatore della società Bencaster, difeso dall’avvocato Pasquale Siciliano, ha già definito la propria posizione con un patteggiamento di tre mesi di reclusione sospesa. La procura considera questo un passo verso la chiusura parziale di uno dei fronti più complessi dell’indagine.













