Di Andrea Gagliarducci - ACI Stampa
A un passo dalla pensione, dopo aver compiuto 80 anni e averne trascorsi dieci alla guida della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, il Cardinale Sean O’Malley, arcivescovo emerito di Boston, firma il primo rapporto annuale della Commissione. Un rapporto che sarà modello per i rapporti che verranno, ma anche unico nel suo genere, perché mette insieme il lavoro di dieci anni, delinea quella che si pensa debba essere una “cultura della salvaguardia”, mette in luce sfide e opportunità sul tema della prevenzione degli abusi.
“È ferma convinzione dei membri della Commissione – scrive il cardinale O’Malley nel rapporto – che tutto il popolo di Dio, e specialmente i leader della Chiesa, siano stati chiamati per lavorare verso due obiettivi: una Chiesa che è sicura dagli abusi al suo interno, e una Chiesa che è efficace contro gli abusi e difende la dignità dei bambini e degli adulti vulnerabili nel mondo”.
In conferenza stampa, O'Malley parla poi di due periodi della Chiesa. Il primo, "vissuto ininterrottamente per quasi 40 anni come Vescovo", che ha riguardato l'ascolto di "potenti testimonianze del tradimento che si prova quando si subisce un abuso da parte di una persona in cui si è riposta fiducia, e delle implicazioni che tale abuso comporta per tutta la vita".
Le storie delle vittime, cui il cardinale si dice "grato", mostrano "un periodo privo di affidabilità, in cui i leader della Chiesa hanno tragicamente deluso coloro che siamo chiamati a pascere", ma anche "un periodo anche privo di professionalità, in cui i leader della Chiesa hanno preso decisioni senza attenersi alle politiche, alle procedure o agli standard di base per la tutela delle vittime".
Dopo questo "periodo buio", in cui "la sfiducia ha ostacolato la capacità della Chiesa di essere testimone di Cristo", arriva il secondo periodo, "che stiamo cominciando a vedere prendere forma in molte parti del mondo, in cui la responsabilità, la cura e la preoccupazione per le vittime cominciano a fare luce sull'oscurità. È un periodo in cui esistono solidi sistemi di denuncia che ci permettono di ascoltare e rispondere alle vittime, con un approccio informato sui traumi. È un periodo in cui i protocolli di gestione del rischio e la supervisione informata promuovono ambienti sicuri. È un periodo in cui la Chiesa fornisce servizi professionali di accompagnamento delle vittime, come impegno per il viaggio verso la guarigione. È un periodo in cui tutti coloro che svolgono un ministero e lavorano nella Chiesa ricevono la formazione e l'addestramento necessari per promuovere una cultura della tutela. È un periodo in cui la Chiesa abbraccia pienamente il suo ministero di salvaguardia".
Il rapporto è diviso in quattro diverse parti: la Chiesa locale in focus; la missione di tutela della Chiesa a livello continentale; le politiche di tutele e salvaguardia della Curia a servizio della Chiesa; il ministero di tutela della Chiesa nella Chiesa.
Ci sono sette osservazioni che emergono nel rapporto. La prima: si deve promuovere un migliore accesso alle informazioni da parte delle vittime, per affrontare la preoccupazione che riguarda processi canonici opachi come una fonte di re-traumatizzazione.
Second osservazione: l’approccio alla vulnerabilità deve essere olistico, e anzi si deve sviluppare una definizione di vulnerabilità più uniforme.
Terzo punto, le giurisdizioni devono essere chiare, in modo che i casi siano gestiti in maniera efficace, tempestiva e rigorosa.
Quarto punto, ci vuole un processo più snello per dismettere dagli uffici e permettere le dimissioni o la rimozione di un leader della Chiesa.
Quinto, il magistero della Chiesa deve essere ulteriormente sviluppato sul suo ministero di salvaguardia. Il sesto punto riguarda il bisogno di studiare politiche di danno e compensazione che promuovano un approccio rigoroso alle riparazioni. E infine, si deve professionalizzare la tutela della Chiesa.
Il rapporto guarda in dettaglio alla situazioni delle Conferenze Episcopali che sono passate dalla Commissione in questi mesi (Messico, Papua Nuova Guinea, Belgio e Camerun), e anzi ricorda il ruolo che le visite ad limina hanno in questo processo, perché la presenza a Roma dei vescovi locali permette alla commissione di essere a conoscenza dalle 15 alle 20 Chiese locali.
Il rapporto chiede di promuovere “una conversione nella Chiesa riguardo la dignità dei bambini e i diritti umani in relazione all’abuso”, cosa che richiede “una unificata visione teologico pastorale”. Sottolinea che i risarcimenti non riguardano “solo gli aspetti finanziari”, ma abbracciano “un più ampio spettro di azioni”, che includano anche il riconoscimento degli errori e le scuse pubbliche sono spesso persino più importanti, tanto che la questione della riparazione sarà il pilastro del prossimo rapporto annuale.
Il rapporto mostra anche la differenza delle Chiese locali sulla base della provenienza geografica, perché in alcuni casi il fenomeno dell’abuso è riconosciuto da tempo, in altri casi invece è giunto in superficie solo di recente, e in altre ancora manca ancora una pubblicizzazione dei casi di abuso.
Il rapporto chiede anche che la Commissione possa avere accesso a “informazioni statistiche più specifiche dalla Sezione Disciplinare” del Dicastero per la Dottrina della Fede.
Altre fonti di informazione sono appunto le ad limina, i rapporti governativi, anche i gruppi di lavoro ad hoc indipendenti, e le informazioni pubbliche che sono consultabili dalle organizzazioni internazionali e le Ong locali e globali, e persino i media.
Il rapporto, forte dell’esperienza di ascolto delle vittime, sottolinea che “i processi civici e canonici possono essere difficili, lenti, e persino fonte di costante vittimizzazione”, perché sono processi che tendono a “focalizzarsi sulle accuse e i perpetuatori piuttosto che sui bisogni dei sopravvissuti”, che devono sentirsi ascoltati.