Un lettore ha scritto ieri che "Nel dopoguerra, personalità come Maria Ida Viglino e Sévérin Caveri agivano con una determinazione che era il riflesso diretto delle pressioni esterne e della necessità di difendere l’identità valdostana da un centralismo che aveva già mostrato il suo volto oppressivo sotto il regime fascista". Le considerazioni del 'Lettore unionista ricco di speranza' mi hanno suggerito alcune riflessioni che voglio condividere con i nostri lettori e, se possibile, aprire un dibattito tra coloro che sono speranzosi e chi consirera il declino autononista irrevocabile.
Oggi, a distanza di quasi ottant'anni dalla fondazione dell’Union Valdôtaine, è inevitabile notare un cambiamento nel modo in cui viene percepita e praticata l’autonomia. Se allora, nel 1945, l’autonomia era vissuta come una battaglia vitale, alimentata da una forte partecipazione popolare e da un senso di urgenza, oggi sembra che quel fuoco si sia in parte spento, e che l’autonomia valdostana sia in una sorta di "letargo".
Nel dopoguerra, personalità come Maria Ida Viglino e Sévérin Caveri agivano con una determinazione che era il riflesso diretto delle pressioni esterne e della necessità di difendere l’identità valdostana da un centralismo che aveva già mostrato il suo volto oppressivo sotto il regime fascista. La resistenza non era solo fisica, era intellettuale, culturale e politica. Gli atti erano concreti, decisi e improntati a una visione chiara: proteggere e rilanciare l’autonomia a tutti i costi. Il malcontento verso l’autonomia ridotta concessa dal governo di Roma era tale da spingere Maria Ida Viglino a dimettersi dal suo incarico, un gesto che segnalava chiaramente che non ci si accontentava delle mezze misure.
Oggi, invece, nonostante i proclami dell’Union Valdôtaine e delle forze autonomiste, si percepisce un certo appiattimento nella pratica politica. L’autonomia, che un tempo era un progetto vibrante e condiviso, appare spesso come una questione burocratica o amministrativa, piuttosto che una lotta appassionata per la difesa della nostra specificità. La Valle d’Aosta sembra accontentarsi di un’autonomia gestita con il pilota automatico, priva di quella spinta creativa e innovativa che la caratterizzava in passato. Lungi dall’essere il fulcro di un dibattito politico appassionato, l’autonomia oggi rischia di diventare una parola vuota, un concetto privo della forza propulsiva che la rendeva un tema caldo e partecipato.
La pluralità delle forze politiche valdostane, che potrebbe essere una risorsa, si è trasformata spesso in frammentazione e litigiosità. Invece di unire le forze per difendere e rafforzare l’autonomia, le formazioni politiche sembrano dividersi su questioni di corto respiro, incapaci di formulare una visione comune per il futuro della regione. Le sfide dell’autonomia oggi, come le pressioni economiche, la globalizzazione e l’erosione della nostra identità linguistica e culturale, richiederebbero un fronte compatto e proattivo. Tuttavia, l’impressione è che la difesa dell’autonomia sia passata in secondo piano rispetto alla gestione ordinaria del potere.
È proprio questo divario tra il fervore politico del passato e la stagnazione odierna che dovrebbe preoccuparci. Mentre allora l'autonomia era vissuta come una necessità, oggi sembra che la si consideri come acquisita, come un diritto inattaccabile che non richiede più alcuno sforzo o sacrificio. Ma l’autonomia non è mai un dato di fatto: è una conquista quotidiana, che richiede attenzione, impegno e soprattutto un dialogo continuo con la popolazione. Senza una nuova spinta ideale e una maggiore partecipazione attiva, c’è il rischio concreto che la nostra autonomia si indebolisca e venga erosa, non da pressioni esterne, ma dall’indifferenza interna.
In questo contesto, è necessario che l’Union Valdôtaine e le altre forze autonomiste si risveglino da questo torpore, riaccendendo il dibattito sull’autonomia con la stessa energia e passione che caratterizzava i fondatori. Serve una nuova visione che torni a mettere al centro la difesa dell’identità valdostana, non come atto nostalgico, ma come progetto di modernità, capace di rispondere alle sfide del presente senza rinunciare ai nostri valori fondamentali. Solo così potremo evitare che l’autonomia si addormenti definitivamente.