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FEDE E RELIGIONI | 07 aprile 2024, 09:00

VANGELO DELLA DOMENICA: Nel dubbio, io credo...

II Domenica di Pasqua (Anno B) (07/04/2024) Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

VANGELO DELLA DOMENICA: Nel dubbio, io credo...

“Nel dubbio, lo faccio, poi si vedrà”: è una delle affermazioni più comuni, nel nostro quotidiano parlare. Quando non siamo sicuri di cosa sia bene fare o non fare, preferiamo scegliere di fare qualcosa, anche se magari non è corretto, e poi nel caso lo aggiusteremo. Non è un atteggiamento errato: meglio sbagliare facendo qualcosa che starsene inerti perché ci si sente nel dubbio: così nessuno farebbe più nulla, per cui, “nel dubbio”, facciamo qualcosa. Se aspettassimo di avere la certezza che tutto ciò che facciamo va bene, stiamo fritti!

Il dubbio, così come il rischio, è una componente fondamentale del nostro agire. E anche del nostro pensare. Addirittura, del nostro credere: credere senza avere dubbi, o credere con l'assoluta certezza che ciò in cui crediamo è proprio così come lo crediamo, a mio avviso non è un'autentica esperienza di fede. Sarebbe una certezza scientifica, non una fede. Ecco perché ho sempre provato una certa simpatia per coloro che di fronte a una realtà così misteriosa e piena di fascino come l'Assoluto si sono posti degli interrogativi, con tutta una serie di dubbi che sanno molto di desiderio di ricerca.

Non mi riferisco solo ai filosofi, agli scienziati o ai pensatori laici di ogni epoca, che sottopongono la Rivelazione a tutta una serie di prove oggettive; mi riferisco soprattutto ai grandi credenti di ogni religione, ai santi della nostra tradizione cristiana, pochi dei quali possono vantare una vita spirituale priva di ombre, di incertezze, di dubbi, di passi falsi e anche di incoerenze. Da Pietro che non riesce a camminare sulle acque perché dubita dell'aiuto di Gesù, fino ai testi di Madre Teresa di Calcutta in cui definisce se stessa in uno stato di “notte perenne” rispetto a Dio, passando attraverso le esperienze drammatiche della spiritualità dell'angoscia di Giovanni della Croce, di Teresa d'Avila, di Francesco d'Assisi... quanti dubbi anche tra i più santi dei credenti! E allora, come è possibile dare del miscredente a Tommaso, solo perché ha voluto vederci chiaro di fronte al Maestro, morto in croce, ma che tutti affermavano aver visto nuovamente in vita? Un miscredente non se ne esce con espressioni così meravigliose come quella di oggi: “Mio Signore e mio Dio”.

Chi di noi non ha mai avuto dubbi di fede? Chi di noi, pur professandosi credente e cercando di condurre una vita il più possibile coerente con gli insegnamenti del Vangelo, non si è mai posto delle domande, implicite o esplicite, su Dio? Del tipo: “Ma questo fatto della Resurrezione di Gesù dai Morti, com'è scientificamente e storicamente provato?”; “Se Dio esiste davvero ed è buono, perché c'è il male nel mondo? E perché lui lo permette?”; “Perché devo credere in Dio, se anche da un punto di vista puramente umano posso comportarmi come si comporta un credente, e magari anche meglio, considerata l'incoerenza di vita di tanti cristiani?”;“Dov'è Dio, quando ho bisogno di lui...?”. E chi più ne ha, più ne metta.

Tutti siamo così: un po' santi e un po' dannati, un po' credenti e un po' atei, un po' devoti e un po' dubbiosi. Tutti, anche - o forse soprattutto - coloro che hanno più familiarità con Dio, anche noi che viviamo delle “cose di Dio”, anche noi che abbiamo consacrato la nostra vita a lui. Se noi uomini e donne di Chiesa vivessimo un'esperienza di Dio priva di domande, di interrogativi, di battute d'arresto, correremo il rischio di essere gente senza prove, e quindi senza sofferenze, e quindi senza croci, ovvero privi di passione.

Dio ci liberi dall'essere cristiani privi di domande su di Lui, cristiani che non fanno fatica a stargli dietro, cristiani senza passione che non carichino sulle proprie spalle la croce e non lo seguono, perché ciò vorrebbe dire che non siamo degni di essere chiamati suoi discepoli! Dio ci liberi da una fede talmente sicura di sé da diventare orgogliosa, superba, oppressiva, disprezzante nei confronti di chi fa fatica a credere perché provato dalla vita! E Gesù liberi la sua Chiesa da uomini e donne che per il solo fatto di essere battezzati o di essersi consacrati a lui si sentono incrollabili nella fede, imperturbabili e perfetti.

La Chiesa e il mondo, oggi, non hanno bisogno di “signori” della fede, perché oggi come allora c'è un solo Signore e un solo Dio, quello che ha pazienza, che ti usa misericordia, ti rialza quando la tua fede vacilla, e che ti porta poi a professare come Tommaso: “Tu sei il Mio Signore; Tu sei il Mio Dio”.

La Chiesa e il mondo, oggi, hanno bisogno di testimoni credibili della fede, di gente che fa fatica, che a proposito di Dio ha mille dubbi al giorno, ma che nonostante tutto è capace di affidarsi a lui e di andare avanti, perché sa che è lui a condurre la nostra vita. Occorre, soprattutto, gente che non vive la sua esperienza di fede come un fatto isolato nel quale sentirsi bene con Dio, ma come un momento di condivisione con una comunità di fratelli, che vive delle stesse gioie e delle stesse fatiche del credere.

L'errore di Tommaso non è stato quello di dubitare, ma il fatto di voler fare a meno di stare con i suoi fratelli, di separarsi da loro già la sera stessa di Pasqua, di volersi costruire una fede a sua misura, che poi crolla nel momento della solitudine e dell'incertezza. Tommaso salverà la sua fede “otto giorni dopo”, cioè nel Giorno del Signore - la domenica - il giorno in cui accetterà di tornare a riunirsi con la sua misera e titubante comunità per essere, con i suoi fratelli, “un cuor solo e un'anima sola”, pur senza togliere tutta la fatica del credere.

Perché nessun cristiano, per quanto personalmente perfetto, può sperare di salvarsi da solo, senza fare riferimento a una comunità di fede. E soprattutto, nessuno può avere la pretesa e la superbia di ritenersi capace di salvezza senza mai essere passato attraverso l'esperienza difficile ma appassionante del dubbio di fede. Perché allora, in fin dei conti, vorrebbe dire annunciare la luce del Cristo Risorto senza essere, prima, passato attraverso il buio del Calvario, della croce e del sepolcro.

E allora, non mi vergogno di dire che, nel dubbio, io credo: anzi, non mi vergognerò mai nemmeno di dire che credo nel dubbio, dubitando, e nonostante il dubbio.

Don Alberto Brignoli

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