Dopo un confronto tra difese, accusa e collegio giudicante sull'impossibilità di utilizzare al momento una corposa mole di trascrizioni di intercettazioni, è ripreso con le deposizioni di alcuni testimoni, questa mattina, il processo in tribunale ad Aosta a cinque imputati nell'ambito dell'inchiesta Geenna della Dda di Torino e dei carabinieri di Aosta sulla possibile presenza di una 'drina in Valle d'Aosta.
Marco Sorbara, Monica Carcea e Nicola Prettico
Sono imputati Marco Sorbara, consigliere regionale sospeso, Monica Carcea, ex assessore a Saint-Pierre, entrambi accusati di concorso esterno in associazione mafiosa; Nicola Prettico, consigliere comunale ad Aosta sospeso, Alessandro Giachino, dipendente del Casinò di Saint-Vincent e il ristoratore Antonio Raso, tutti e tre accusati di associazione per delinquere di stampo 'ndranghetista e quindi di essere membri della locale di 'ndrangheta di Aosta.
Per gli inquirenti, Raso sarebbe tra gli imputati colui che maggiormente avrebbe cercato di sfruttare le proprie conoscenze in ambito politico ed economico per aiutare i propri amici più fidati e i propri 'sodali'. La prima teste di oggi è stata citata dall'accusa: un'impiegata della Sitrasb, società di gestione del Traforo del Gran San Bernardo, alla quale il pm della Dda Stefano Castellani ha chiesto contezza circa una telefonata da lei ricevuta nel 2016 da Antonio Raso, che chiedeva un appuntamento con l'allora presidente della Sitrasb, Omar Vittone per proporgli di affidare a un artigiano suo conoscente alcuni lavori di tinteggiattura nei locali della società. Pur ricordando solo a tratti l'episodio, la donna ha confermato in aula quanto dichiarato ai carabinieri in un interrogatorio del 16 febbraio 2019 (sedici indagati in Geenna erano stati arrestati il 23 gennaio) ovvero che l'incontro tra Vittone e l'artigiano proposto da Raso avvenne realmente e che lo stesso Vittone le disse che si trattava di un imbianchino.
Altri due testimoni, impresari edili attivi in Valle che avevano lavorato alla riqualificazione degli edifici della Sitrasb, messi di fronte ai verbali dei loro interrogatori resi nel febbraio dello scorso anno hanno confermato quanto allora dichiarato, ovvero che quell'imbianchino fu poi effettivamente incaricato dalla società di gestione del traforo di svolgere lavori di decorazione e cartongesso, così come secondo l'accusa Raso aveva caldeggiato a Vittone, anche se per un teste quell'impresario fu scelto in base a regolare presentazione di preventivo, risultato più conveniente di altri.
Un teste dell'accusa, un ristoratore valdostano già gestore di discoteche, ha ribadito per due volte di non essere mai stato minacciato da Antonio Raso. "Conoscendo il signor Raso come ristoratore - ha spiegato il testimone - sono rimasto stupito di quello che è successo, cioè del suo arresto". Nel 2015 Raso aveva telefonato al teste per convincerlo a far entrare nel suo locale di Sarre un giovane che in precedenza lo aveva minacciato durante una serata e che lui aveva poi allontanato dalla discoteca. Il ristoratore ha definito l'episodio "una cavolata, succede anche a me tutt'ora che persone mi chiamino chiedendomi di far entrare qualcuno nei locali".
Un cognato del giovane per il quale Raso si era interessato per far 'rientrare' nella discoteca è figlio di un uomo assassinato a San Giorgio Morgeto nel 1991, Antonio Oliverio, che a sua volta era fratello di Santo Oliverio, ritenuto dagli investigatori uno degli esponenti del locale di Aosta negli anni '90-2000. Per i carabinieri quel giovane è da considerarsi un fiduciario di Raso.
Botte tra ragazzi e spunta una pistola
Infine il pm Castellani ha chiesto a un sesto testimone di ricordare una collutazione tra il nipote di Antonio Raso e il figlio di Salvatore Filice (anch'esso imputato in Geenna, unico indagato che non è stato arrestato il 23 gennaio 2019), che aveva riportato contusioni guaribili in sei giorni. Una vicenda considerata dagli inquirenti "dimostrativa di dinamiche interne alle due fazioni tipiche della 'ndrangheta - si legge negli atti del fascicolo processuale - in cui un mero litigio tra ragazzi provoca reciproche pretese di rispettabilità tali da muovere la stessa locale di San Luca al fine di comporre gli attriti. In particolare, emerge la valenza dei Nirta di San Luca quali referenti per salvaguardare l'onore famigliare".
In dettaglio Salvatore Filice (gestore di un night club a Chatillon) aveva chiesto 10.000 euro ai parenti di Raso a titolo di 'risarcimento', arrivando anche a minacciare gli zii del ragazzo con una pistola. Gli stessi zii si erano quindi rivolti ad Antonio Raso per risolvere la questione, che era stata risolta al termine di una riunione tesissima in un pub di Sarre. "Io ero tranquillo - ha detto oggi in aula un parente del nipote di Raso - perchè della cosa si era occupato Tonino (per l'appunto Antonio Raso ndr) che conosce tante persone e anche per questo è in grado di mettere a posto le situazioni parlando civilmente".
Si allungano i tempi della sentenza torinese
E originariamente attesa per domani, giovedì 11 giugno, slitta invece la sentenza del gup di Torino per gli altri 12 imputati che avevano scelto il rito abbreviato nel processo al tribunale torinese. L'udienza in programma lo scorso 19 marzo era infatti stata aggiornata a causa dell'emergenza Covid-19 allle date del 5, 10 e 11 giugno ma oggi si attende la data di un nuovo rinvio.
Le richieste di condanna avanzate nel febbraio scorso nel processo torinese dai pm della Dda Stefano Castellani e Valerio Longi sono: 1 anno e 10 mesi per Giacomo Albanini, 3 anni per Vincenzo Argirò, 2 anni e 4 mesi per Roberto Bonarelli, 14 anni e 2 mesi per Marco Fabrizio Di Donato, 10 anni per Roberto Alex Di Donato, 4 anni e 8 mesi per Roberto Fabiani, 2 anni e 8 mesi per Salvatore Filice, 10 anni e 8 mesi per Francesco Mammoliti, 20 anni per Bruno Nirta, 3 anni per Rocco Rodi, 9 anni e 4 mesi per Carlo Maria Romeo, 6 anni e 8 mesi per Bruno Trunfio.