Di Andrea Gagliarducci - ACI Stampa
L’appello a lavorare insieme per modificare la traiettoria dello sviluppo. La centralità di Cristo, perché un uomo che mette Dio al centro è sicuramente più orientato verso il bene comune. L’idea di famiglia umana, alla base della famiglia delle nazioni, perché l’ordine internazionale sia orientato a favore dell’uomo. Leone XIV parla al corpo diplomatico e alla società civile di Turchia, nel primo discorso del suo primo viaggio apostolico. Ed è un discorso in cui leggere in controluce anche i temi che saranno del pontificato e, forse, proprio della sua prima enciclica.
Nel discorso, Leone XIV cita Papa Francesco per parlare di "cultura dell'incontro" e di "terza guerra mondiale a pezzi". Si sofferma sulla straordinaria esperienza di Giovanni XXIII come delegato apostolico in Turchia, e in particolare negli scritti di quello che a Istanbul e dintorni viene chiamato “il Papa turco”, per ricordare come la ricerca di unità non debba essere soltanto esteriore, per superare quella che Roncalli definiva “una logica falsa” e, invece, diventare ponte di dialogo. Rilancia il senso dell’essere umano, in un mondo sempre più dominato dalla logica dei dati. Rimette al centro il concetto di famiglia, perché è da lì che si parte per costruire una società.
Come è normale che sia, la prima tappa del viaggio è Ankara, la capitale, per un viaggio che porterà il Papa a Istanbul, Iznik e poi in Libano. La visita di cortesia al presidente Recep Tayyip Erdoğan, e l’omaggio, con corona di fiori e molta solennità – tappa obbligata – al mausoleo di Atatürk, che contiene le spoglie del “padre dei turchi” (questo significa Atatürk) Mustafa Kemal, il fondatore della Turchia moderna. Una Turchia secolarizzata, dove le religioni venivano marginalizzate, almeno fino a quello che è oggi l’attuale governo, dove il dato religioso è tornato profondamente a caratterizzare la politica e persino la basilica di Santa Sofia, l’antica cattedrale di Costantinopoli, è stata trasformata in moschea – mentre lo Stato turco la aveva resa un museo, togliendole sì il carattere sacro, ma allo stesso tempo permettendo a tutte le fedi di riconoscervisi.
Ed Erdoğan, nel suo discorso di benvenuto, ha ricordato che nel bilaterale con il Papa si è parlato di “sfide che colpiscono l’umanità”, dalle migrazioni alle questioni di giustizia e pace, e della necessità di affrontarle insieme. Il presidente turco ha sottolineato che “la Turchia si trova al crocevia di tre culture”, è un ponte, un “Paese che prende posizione guardando ad Oriente e ad Occidente,” in una posizione “unica” dove “hanno sempre coesistito e convissuto senza alcuna discriminazione”, e che ci sono “tanti luoghi di culto che testimoniano la nostra convivenza”, affermando che dal 2022 ha restaurato 122 luoghi di culto, e altri cinque saranno inaugurati.
Erdoğan ricorda alla fine che la Turchia è “Paese di convivenza e pace” e che i turchi “hanno questa pace nel cuore”, cosa che “contribuisce alla stabilità del Paese”, e ricorda l’iniziativa della Alleanza delle Civiltà, iniziativa delle Nazioni Unite avviata da Turchia e Spagna.
Il presidente turco mette in luce che la Turchia si vuole “dare da fare per mettere fine” alle tensioni del mondo, tanto che “la Turchia ha dato come aiuto umanitario quasi più di tutti i Paesi” e ha aperto le porte “ai profughi siriani e a tutti i profughi scappati dalla guerra”.
Erdoğan ribadisce la crisi palestinese, e punta il dito contro Israele che “sta ancora bombardando luoghi di culto, ospedali e scuole”, e persino “un luogo di culto cattolico” come la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, e chiede una soluzione internazionale alla crisi, con i confini riconosciuti dalle Nazioni Unite, e ribadisce che Gerusalemme Est dovrebbe avere uno status internazionale.
Il discorso del presidente turco mette in luce una volontà di protagonismo della Turchia. Ed è anche qui la tensione in cui il Papa si deve muovere, in uno Stato turco che prende sempre più forza nell’impianto geopolitico del Medio Oriente e del Caucaso, e anche ricordando che ancora più sullo sfondo resta la questione della parte di Cipro occupata dove le chiese cattoliche sono state trasformate in moschee o sconsacrate, o della situazione in Caucaso dove i cristiani armeni sentono forte il rischio del “genocidio culturale”.
Insomma, Leone XIV non è chiamato a tenere un discorso facile, specialmente dopo l'ampio bilaterale che lo ha preceduto. Il Papa si muove tra le caratteristiche dell’amicizia (tutti i suoi predecessori sono stati in Turchia da pontefici, Giovanni XXIII da delegato apostolico, e hanno anche avuto un ruolo cruciale nel salvataggio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale), della fraternità e della necessità di costruire ponti. E si muove sull’idea di una tradizione cristiana nel territorio turco, perché “questa terra è legata inscindibilmente alle origini del cristianesimo e oggi richiama i figli di Abramo e l’umanità intera ad una fraternità che riconosca e apprezzi le differenze”.
Nel suo discorso al corpo diplomatico, Leone XIV parte dall’immagine del Ponte sullo Stretto del Dardanelli, che è anche l’emblema del viaggio papale. Riconosce alla Turchia “un posto importante nel presente e nel futuro del Mediterraneo e del mondo intero”, ma sottolinea che questo avviene soprattutto “valorizzando le vostre interne diversità”, perché, prima di collegare Asia ed Europa, Oriente e Occidente, il ponte è un collegamento tra la Turchia asiatica e quella europea. E “sarebbe un impoverimento”, sottolinea il Papa, omologare un “crocevia di sensibilità come quello turco”, perché “una società è viva se è plurale”, mentre “oggi le comunità umane sono sempre più polarizzate e lacerate da posizioni estreme, che le frantumano”.
Leone XIV mette anche al centro il contributo dei cristiani, che vogliono essere attori positivi e “si sentono parte dell’unità turca, tanto apprezzata da San Giovanni XXIII, da voi ricordato come il ‘Papa turco’ per la profonda amicizia che lo legò sempre al vostro popolo”, il quale “si adoperò intensamente affinché i cattolici non si estraniassero dalla costruzione della vostra nuova Repubblica”.
Ma Leone XIV usa l’immagine del ponte anche per descrivere Dio, il quale “rivelandosi, ha stabilito un ponte fra cielo e terra: lo ha fatto perché il nostro cuore cambiasse, diventando simile al suo”. E questo ponte tra cielo e terra è “un ponte sospeso, grandioso, che quasi sfida le leggi della fisica: così è l’amore, che, oltre alla dimensione intima e privata, ha anche quella visibile e pubblica”.
Il Papa sottolinea che nella società turca “la religione ha un ruolo visibile” e che allora è “fondamentale onorare la dignità e la libertà di tutti i figli di Dio”, che siano “uomini e donne, connazionali e stranieri, poveri e ricchi”, perché “tutti siamo figli di Dio, e questo ha conseguenze personali, sociali e politiche”.
Nota Leone XIV: “Chi ha un cuore docile al volere di Dio promuoverà sempre il bene comune e il rispetto per tutti”. Ed è questa la grande sfida, “specialmente davanti a un’evoluzione tecnologica che potrebbe altrimenti accentuare le ingiustizie, invece di contribuire a dissolverle”, dato che “persino le intelligenze artificiali, infatti, riproducono le nostre preferenze e accelerano i processi che, a ben vedere, non sono le macchine, ma è l’umanità ad avere intrapreso”.
Il Papa invita a lavorare insieme “per modificare la traiettoria dello sviluppo e per riparare i danni già inferti all’unità della famiglia umana”, un concetto che il Papa sottolinea con forza perché “invita a stabilire un collegamento”, un ponte, dato che “la famiglia è stata” per tutti “il primo nucleo della vita sociale, in cui sperimentare che senza l’altro non c’è io”.
Leone XIV ricorda quanto la famiglia abbia una grande importanza nella vita turca, apprezza le iniziative che la sostengono considerandola il luogo in cui si crea anche “la fondamentale sensibilità per il bene comune”, non negando comunque che “ogni famiglia può anche chiudersi in sé stessa, coltivare inimicizie, o impedire a qualcuno dei suoi membri di esprimersi, fino a ostacolare lo sviluppo dei suoi talenti”, ma ribadendo allo stesso tempo che “non è da una cultura individualistica, né dal disprezzo del matrimonio e della fecondità, che le persone possono ottenere maggiori opportunità di vita e di felicità”.
Leone XIV ricorda che "solo insieme diventiamo autenticamente noi stessi. Solo nell’amore diventa profonda la nostra interiorità e forte la nostra identità. Chi disprezza i legami fondamentali e non impara a sostenerne persino i limiti e le fragilità, più facilmente diventa intollerante e incapace di interagire con un mondo complesso".









