Di Andrea Gagliarducci – ACI Stampa
“Beati gli operatori di pace”. L’esordio di Leone XIV davanti al corpo diplomatico e alla società civile di Beirut racconta già, in qualche modo, il senso del passaggio del pontefice nella Terra dei Cedri, nel “Paese messaggio”, secondo l’espressione di Giovanni Paolo II. Un messaggio di pace che si lega idealmente al messaggio di unità della prima tappa del viaggio, laddove, insieme al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, ha anche ribadito che nessuna religione può fare la guerra in nome di Dio. Un messaggio che il Papa unisce a un diritto che sembrava messo da parte in questi ultimi anni: quello di restare nella propria terra, prima ancora che di migrare.
C’è, dunque, un filo rosso che unisce Libano e Turchia. Leone XIV arriva a Beirut nel giorno di Sant’Andrea, dopo un’intensa prima parte della giornata che lo ha visto, ancora una volta, con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo. L’accoglienza in aeroporto, l’incontro con il presidente Joseph Aoun, eletto dopo due anni di stallo istituzionale, la piantumazione di un albero di cedro fanno da preludio all’incontro del Papa con il corpo diplomatico, il primo appuntamento di tutti i viaggi apostolici del Pontefice.
A loro, Leone XIV offre un discorso denso, tutto dedicato alla pace e agli operatori di pace, a questa “speciale beatitudine” che riguarda proprio gli uomini della società civile libanese, a fronte di “milioni di libanesi, qui e nel mondo intero, che servono la pace silenziosamente, giorno dopo giorno”. Perché in quella terra “pace è molto più di una parola”, ma è piuttosto “un desiderio e una vocazione, un dono e un cantiere sempre aperto”.
Nel suo discorso, il presidente Joseph Aoun ha notato che la devozione a Maria in Libano è tale che il giorno dell’Annunciazione è diventato festa nazionale, “con celebrazioni che non hanno eguali”. E ricorda che il Libano è anche terra “di grandi santi, tra i quali San Charbel”, la devozione per il quale ha incarnato la sua unità. Ad accogliere il Papa, dice il presidente, è “un Paese unico nel suo governo”, un Paese concepito sulla libertà e che “si fonda su una costituzione” che sancisce l’uguaglianza tra le religioni, e in questo “risiede l’unicità del Libano”. Sottolinea anche che “se in Libano i cristiani scomparissero”, ma anche “ogni danno alla comunità musulmana” destabilizzerebbe il Paese e “metterebbe a rischio la giustizia”, e la caduta del Libano “favorirebbe la crescita dell’estremismo, della violenza e dello spargimento di sangue nella nostra regione e nel mondo”.
Il presidente Aoun ribadisce che la Santa Sede ha sempre compreso questa unicità del Libano, ricordando l’apporto dei Papi – fino a Benedetto XVI, che consegnò proprio in Libano l’esortazione post-sinodale per il Medio Oriente. E implora il Papa di dire al mondo che i libanesi “resteranno lì”, non moriranno e creeranno “giorno dopo giorno una vita degna di essere vissuta”, e allo stesso modo di ricordare che il Libano resta “l’unica comunità di dialogo” non solo nel Medio Oriente, ma nel mondo intero, perché “ciò che in Libano tiene insieme il mondo stesso non può tenere, e ciò che il Libano unisce nessuna forza può separare”.
Nel suo discorso, Leone XIV loda il fatto che i libanesi sono “un popolo che non soccombe, ma che, di fronte alle prove, sa sempre rinascere con coraggio”, con una resilienza che è “caratteristica imprescindibile degli autentici operatori di pace”, perché “l’opera della pace è un continuo ricominciare”, e perché “ci vuole tenacia per costruire la pace” e “ci vuole tenacia per costruire e far crescere la vita”.
Il Papa chiede ai libanesi di guardare alla loro storia, perché in un Paese variegato hanno sempre saputo parlare “la lingua della speranza”. E sì, “attorno a noi, in quasi tutto il mondo, sembra avere vinto una sorta di pessimismo e sentimento di impotenza”, mentre “le grandi decisioni sembrano essere prese da pochi e spesso a scapito del bene comune”, e questo “appare a molti un destino ineluttabile”.
Leone XIV riconosce che il Libano ha “molto sofferto le conseguenze dell’instabilità globale”, ma nota che “ha sempre voluto e saputo ricominciare”, perché “il Libano può vantare una società civile vivace, ben formata, ricca di giovani capaci di plasmare i sogni e le aspirazioni di un intero Paese”.
Il Papa incoraggia i politici a “non separarsi mai dalla loro gente”, a “porsi al servizio del popolo”, a fare “di ogni gruppo la voce di una polifonia”. È un appello all’unità nella diversità.
Gli operatori di pace, prosegue Leone XIV, non solo sanno ricominciare, ma sanno riconciliarsi, perché “vi sono ferite personali e collettive che chiedono lunghi anni, a volte intere generazioni, per potersi rimarginare”. Se queste “non vengono curate, se non si lavora, ad esempio, a una guarigione della memoria, a un avvicinamento tra chi ha subito torti e ingiustizie, difficilmente si va verso la pace. Si resta fermi, prigionieri ognuno del suo dolore e delle sue ragioni. Tuttavia, verità e riconciliazione crescono sempre insieme: sia in una famiglia, sia tra le diverse comunità e le varie anime di un Paese, sia tra le Nazioni”.
Ma la riconciliazione deve guardare a una “apertura verso un futuro, nel quale il bene prevalga sul male subito e inflitto nel passato o nel presente”, perché “una cultura della riconciliazione non nasce solo dal basso, dalla disponibilità e dal coraggio di alcuni, ma ha bisogno di autorità e istituzioni che riconoscano il bene comune superiore a quello di parte”.
Infatti, sottolinea il Papa, “il bene comune è più della somma di tanti interessi: avvicina il più possibile gli obiettivi di ciascuno e li muove in una direzione in cui tutti avranno di più che andando avanti da soli”. E la pace – aggiunge – “è molto più di un equilibrio, sempre precario, tra chi vive separato sotto lo stesso tetto. La pace è saper abitare insieme, in comunione, da persone riconciliate. Una riconciliazione che, oltre a farci convivere, ci insegnerà a lavorare insieme, fianco a fianco, per un futuro condiviso”.
Non c’è bisogno di chiarire tutto: è piuttosto “il confronto reciproco” a portare verso la riconciliazione, perché “la verità più grande di tutte è che ci troviamo insieme inseriti in un disegno che Dio ha predisposto perché tutti possiamo raggiungere una pienezza di vita nella relazione tra di noi e con Lui”.
La terza caratteristica degli operatori di pace, continua Leone XIV, è che “osano rimanere, anche quando costa sacrificio”, perché “sappiamo che l’incertezza, la violenza, la povertà e molte altre minacce producono qui, come in altri luoghi del mondo, un’emorragia di giovani e di famiglie che cercano futuro altrove, pur con grande dolore nel lasciare la propria patria”. Pur apprezzando la positività che arriva dai libanesi sparsi nel mondo, “non dobbiamo dimenticare che restare presso i suoi e collaborare giorno per giorno allo sviluppo della civiltà dell’amore e della pace rimane qualcosa di molto apprezzabile”.
Nota Leone XIV: “La Chiesa, infatti, non è soltanto preoccupata della dignità di coloro che si muovono verso Paesi diversi dal proprio, ma vuole che nessuno sia costretto a partire e che chiunque lo desideri possa, in sicurezza, tornare”.
Infatti, aggiunge il Papa, la mobilità umana “rappresenta un’immensa opportunità di incontro e di reciproco arricchimento, ma non cancella lo speciale legame che unisce ciascuno a determinati luoghi, a cui deve la propria identità in modo del tutto peculiare”. La pace “cresce sempre in un contesto vitale concreto, fatto di legami geografici, storici e spirituali”, e “occorre incoraggiare coloro che li favoriscono e se ne nutrono, e non cedono a localismi e nazionalismi”.
È una sfida, quella di capire cosa fare perché le persone non siano costrette a emigrare, che riguarda “non solo il Libano, ma tutto il Levante”.








