Dalla paura alla fiducia
Dentro ad una crisi inaspettataCari fratelli e sorelle,1. parto da quanto abbiamo vissuto e stiamo vivendo. Senza ce-dere alla retorica del «Nulla sarà come prima» e alla provocazione di quanti approfittano del momento per accreditare modelli di Chiesa lontani dallo spirito cattolico, riconosco che pandemia e isolamento segnano la vita della nostra Chiesa.
Ne evidenziano grandezza e fra-gilità, dono di Dio la prima e frutto della nostra poca fede l’altra. Non è la prima volta che ci confrontiamo con una grande emergenza. Penso all’alluvione che ha colpito la Valle vent’anni fa con il suo carico di morte e di distruzione. Allora, però, la tragedia si è consumata in un tempo definito.
La vita è ripresa subito: abbiamo potuto piangere insieme le vittime e insieme celebrare in loro suffragio, insieme e subito abbiamo intrapreso la ricostruzione. Questa volta non è così. Il male che ci ha colpito e continua a minacciarci è invisibile e genera incertezza e povertà. La vita è rimasta e rimane in parte sospesa.
Si è spezzata l’immagine dell’uomo che noi occidentali ci siamo costruiti: onnipotente, capace di prevedere, controllare e risolvere tutto grazie alle conoscenze scientifiche e tecniche. Una pande-mia poteva essere pensata solo nel passato oppure in aree depresse del mondo. Abbiamo, invece, riscoperto con sofferenza la fragilità della condizione umana.
La malattia e la morte possono mietere vit-time su larga scala ovunque e mettere in discussione paradigmi so-ciali ed economici che sembravano consolidati e intangibili. Ci illudevamo di stare bene prima della pandemia, ciechi e sordi ai richiami che ci venivano dai tanti mali che affliggono l’umanità.
«”Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Signore, la tua Parola ... ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci sia-6mo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati da-vanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie plane-tarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.» (Papa Francesco, Meditazione del Santo Padre, Piazza San Pietro 27 marzo 2020).
Una sosta forzata e sofferta che ha aperto prospettive di vita4. Abituati a correre, ci siamo dovuti fermare. In un attimo pro-grammi e agende personali e pastorali si sono azzerati. Disorienta-mento e sensazione di vuoto ci hanno obbligati a riposizionare vita, relazioni e attività in una prospettiva nuova. Abbiamo scoperto che nella costrizione si può essere liberi e creativi, solidali e intercesso-ri. Per molti di noi il blocco ha favorito la preghiera e l’approfondi-mento della fede in Dio, Padre provvidente che non abbandona i suoi figli. La sosta obbligata è diventata palestra educativa.
Libertà non è scegliere sempre e comunque quello che si vuole, ma la capacità dell’anima umana di rimanere fedele a se stessa e di discernere ciò che dona pienezza alla vita anche quando esteriormente vengono a mancare tante cose importanti. Libertà è riconoscere la vicinanza di Dio e invocarLo anche quando tutto sembra umanamente crollare.
Sballottati da un’inedita tempesta, ci siamo aggrappati a Dio, cercando nella sua Parola e nella sua presenza un senso a quanto accadeva e la forza di non pensare solo a noi stessi. Abbiamo provato a portare al Signore gli altri con la preghiera di intercessione e con gesti di condivisione e di servizio, gesti piccoli e grandi, per qualcuno eroici. Separati gli uni dagli altri, senza poter andare in chiesa per la Messa, abbiamo trovato strade che, con tutti i loro limiti, ci hanno permesso di preservare i legami comu-nitari, di pregare e di celebrare insieme a distanza la nostra fede, di coltivarla nel dialogo e nella formazione, di testimoniare la ca-rità di Cristo.Sotto lo sguardo di Gesù.
Questo tempo è stato anche segnato dal desiderio della comunione, comunione eucaristica e incontri fraterni dei quali eravamo privati. Proviamo ora a ripartire dal desiderio della celebrazione eucaristica vissuta nella normalità di un’assemblea che si raduna, si incontra, ascolta, celebra e comunica al Corpo di Cristo.
La privazione e il desiderio, spesso vissuti con grande sofferenza, dicono l’importanza e la centralità dell’Eucaristia nella vita del cristiano, della famiglia e della comunità. Più volte, in questo tempo, mi sono trovato a meditare la pagina che ora propongo a voi, tratta dal Vangelo di san Marco: Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare”. Ma egli disse loro: “Quanti pani avete? Andate a vedere”. Si informarono e dissero: “Cinque, e due pesci”. E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizio-ne, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono a sazietà. (6, 34-36. 38-42)Penso a Gesù che volge il suo sguardo verso di noi, disorientati da quanto accade e dalla paura del futuro. Gesù, adesso come allo-ra, si mette a insegnare e spezza il pane per noi.
Come non riconoscere in questi gesti l’Eucaristia con la duplice mensa della Parola e del Corpo di Cristo? L’Eucaristia è la compassione del Signore che si fa storia, si fa vita. È la risposta di Dio al nostro disorientamento. Ci fa passare dalla paura alla fiducia.
Mi piace, cari fratelli e sorelle, riconsegnarvi questa pagina evangelica perché ci accompagni durante l’anno. La riconsegno con particolare intensità ai fratelli presbiteri, chiamati a presiedere l’Eu-caristia per il popolo loro affidato, ma prima di tutto a viverla con fede e partecipazione interiore.