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FEDE E RELIGIONI | 16 luglio 2020, 09:00

La classe non è acqua

A colloquio con Mario Leone, coordinatore di una newsletter per insegnanti fatta da insegnanti

La classe non è acqua

«Da qualche mese con alcuni amici insegnanti in giro per l’Italia ci raccontiamo le nostre esperienze di scuola, quello che accade nelle giornate lavorative. Condividiamo articoli di giornali, spunti che emergono dal mondo della cultura» spiega Mario Leone, professore innamorato del suo lavoro («l’insegnamento, una divertentissima sfida» si legge nel profilo biografico pubblicato sul sito del «Foglio», uno dei giornali con cui collabora; «da quando ha coscienza non ricorda una giornata senza musica: suonata, studiata, ascoltata o scritta.

Il pianoforte e il coro gli studi di tutta la vita. Cerca di seguire le regole di vita musicale del compianto Schumann»).

«Il rapporto con questi amici — continua Leone, parlando dell’ultimo progetto che ha tenuto a battesimo — si è fatto più stringente durante il lockdown quando la scuola si è trasferita a casa. Ci siamo detti: perché non condividere con chiunque la nostra passione per l’educazione e quello che ci colpisce? Così abbiamo deciso di realizzare una newsletter dal titolo La classe non è acqua. Il numero di luglio è uscito da pochi giorni e potete leggerlo iscrivendovi facilmente sul sito www.laclassenoneacqua.net/nl».

Un modo per comunicare con i colleghi evitando la trappola della lamentazione fine a se stessa, o del mero bilancio di quello che non funziona. Perché una newsletter?

Perché è uno strumento rapido, efficace e molto diretto. Il titolo nasce dal desiderio di rendere «meno liquida e inafferrabile la realtà della scuola:  La classe non è acqua, per l’appunto». Vorremmo fosse uno spazio di incontro, dialogo, in continua evoluzione dove chiunque possa interagire con noi. Così è iniziato un cammino appassionante ma anche molto complesso. Realizzare un prodotto veramente di qualità non è semplice soprattutto quando bisogna badare a tutto senza avere aiuti anche economici. Ma al di là delle problematiche è molto più grande la gioia per un qualcosa che sta avendo riscontri molto positivi. Mi piace riportare due tipi di commenti. Alcuni docenti che ci hanno detto che “aspettavano” un prodotto di questo tipo. Altre persone (lontane dalla scuola) che ci riferiscono come sentano più vicina e comprensibile la realtà scolastica.

Come è composta la redazione di «La classe non acqua», e qual è il vostro metodo di lavoro?

Siamo in sei. Con me ci sono Elisabetta Campetella, Carlo Carù, Margherita Giambi, Gabriele Laffranchi, Fausto Mascheroni. Senza di loro la newsletter non esisterebbe. Siamo tutti docenti di vari ordini e gradi con tanti interessi. Ci incontriamo online e siamo sempre in contatto telefonicamente. Il metodo è semplice: decidiamo il tema del mese e su questo tema proponiamo un focus cioè il nostro parere su quell’argomento. Questo lo scriviamo insieme discutendone con estrema attenzione e ascoltando gli spunti di tutti. Sul tema del mese selezioniamo gli articoli in maniera attentissima: no fake news, originalità e qualità dei contenuti (verifica delle fonti) spazio alla stampa estera e ricerca di materiali non solo nei quotidiani. Proviamo anche a proporre sempre più contenuti multimediali.

Oltre al tema del mese un criterio che ci guida è quello della bellezza e dell’originalità della notizia: desideriamo proporre un contenuto vero, utile e che aggiorni chiunque (anche i più lontani) sullo stato della scuola.

Poi ci sono tante chicche come «L’angolo della maestra» dedicato alla scuola Primaria. Nel numero di luglio ad esempio la startup Altisensi (che propone percorsi per bambini e adulti sulla creatività e sul pensiero laterale) ha preparato per noi un video dove i bambini immaginano la scuola di settembre. E poi ci sono podcast, film e quello di cui nessuno parla. Sinteticamente potrei dire che siamo guidati dall’idea di scuola che desideriamo costruire e che, tentativamente, cerchiamo di costruire ogni giorno prima di tutto in classe. Con la newsletter vorremmo raggiungere anche quelli (e sono tanti) che vivono la scuola con questa passione.

Non è semplice perché è necessario essere supportati dai canali di diffusione. Gioie e dolori della Dad... La didattica a distanza è stato un tentativo, necessario, di rispondere a una emergenza gravissima come quella del covid-19. Non si poteva fare di più soprattutto nella fase acuta. Ma deve limitarsi a momenti e precise situazioni. La Dad è praticamente inutile nella fascia zero – sei anni. Difficoltosa e difficilmente attuabile per i bambini della scuola Primaria. Tantissimi ostacoli (tecnici e non) anche per i ragazzi più grandi. Per non parlare delle fasce con difficoltà socio-economiche.

I numeri sono sconcertanti: si calcola che ci sia stata una dispersione di oltre un milione di alunni. Questa lunga premessa (me ne scuso) per dire come anche con i genitori degli alunni il rapporto “a distanza” sia molto complesso. L’educazione si fa guardandosi negli occhi; è fatta di gesti, silenzi (non quelli della connessione che salta). Con i genitori i rapporti sono stati sporadici, spesso per affrontare difficoltà tecniche. Altri hanno apprezzato la nostra presenza e la compagnia fatta ai ragazzi. Con loro non è mai semplice ma quando accade una stima e il desiderio di accompagnare i ragazzi diventa una marcia in più nel percorso formativo. Non può esistere una scuola senza genitori, senza una collaborazione. Oggi che bisogna ripensare la scuola bisognerebbe coinvolgerli in maniera positiva e propositiva.

Come è cambiata (se è cambiata) la percezione dell’autorevolezza del docente nella didattica “in remoto”?

Il docente autorevole (e non autoritario) lo è anche nella didattica a distanza. Lo è anche a distanza di anni. Lo è per un alunno tutta la vita. Non cambia questa percezione perché anche attraverso uno schermo il ragazzo coglie se ha di fronte una persona certa, che vive e ama quello che insegna. Io insegno musica e utilizzo un approccio “attivo” alla didattica musicale. Quando siamo in presenza le nostre lezioni sono fatte in aule senza banchi, muovendoci, cantando. La didattica a distanza ha ammazzato questo approccio.

Tutti i ragazzi mi chiedevano come fare lezione. Ho cercato, dove possibile, di raccontare “storie di musica”: alcune vite di personaggi, aneddoti, storie di brani, ascolti guidati. Un alunno mi ha detto, ad esame concluso, e “quadri” esposti: «Le sue lezioni erano un raggio di sole». Non voglio autocelebrarmi, commetto molti errori anche a scuola, ma penso che l’autorità sia come un raggio di sole che entrare anche nelle situazioni più contorte. Aggiungerei anche questo.

Nella Dad mi è capitato che alcuni alunni oscurassero la telecamera, o simulassero problemi tecnici. Non ci nascondiamo dietro un dito. In qualche caso il docente si sente umiliato e svilito nel suo compito. Ma è anche un’occasione: se un ragazzo non segue la lezione io posso rimettere nuovamente tutto in gioco, cambiare strada, interrogarmi su come sto operando. Spesso la realtà che ferisce è una realtà che fiorisce, se presa seriamente. La musica si insegna come una lingua: si impara praticandola. Facciamo un esempio. I bambini imparano a parlare e poi quando vanno a scuola, dalla prima elementare, iniziano a imparare le lettere, la scrittura, la grammatica e così via. Stesso vale per la musica.

L’uomo è un “soggetto musicale”. Basti pensare alla voce, al ritmo cardiaco o ai suoni che il nostro corpo può produrre percuotendolo. La didattica della musica parte da questo scoprire praticamente le potenzialità musicali del nostro corpo. Questo deve essere fatto dal vivo, in spazi opportunamente scelti e con un metodo ben preciso. È impossibile far cantare contemporaneamente su Zoom dei bambini. Ideare delle combinazioni ritmiche. Giocare con gli effetti sonori del corpo. La rete e le tecnologie offrono altre possibilità (utilizzare filmati, programmi musicali, audio e così via) ma nulla è paragonabile all’esperienza di fare e di fare la musica dal vivo.

Ha ascoltato mai un coro di voci bianche che canta?

Quella è una esperienza che segna la vita di chi ascolta ma soprattutto di chi lo fa.

Regali inaspettati portati dal lockdown?

La sorpresa positiva per quel che mi riguarda è sicuramente un desiderio mai scemato di stare con i ragazzi offrendo loro gli strumenti per guardare autonomamente la realtà, amare il sapere e aiutarli a non aver paura di farsi e fare domande. Per quanto riguarda la newsletter mi ha commosso conoscere tante persone (anche voi de «L’Osservatore Romano») interessate al discorso scuola. Gente che nella vita opera in altri settori ci sta aiutando a diffondere il progetto. Genitori che hanno a cuore l’educazione dei figli. Per non parlare poi degli addetti ai lavori e anche alcuni giornalisti. La scuola sta a cuore a tanti. Questo mi incoraggia come insegnante e come coordinatore di questo nuovo progetto editoriale. Vi aspettiamo numerosi. (di Silvia Guidi)

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