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FEDE E RELIGIONI | 18 maggio 2016, 09:30

Scalzo, leggero e senza agenda

Scalzo, leggero e senza agenda

Scalzo, non appesantito in una pastorale di conservazione, amico di Gesù, missionario, costruttore di comunione: è il ritratto del sacerdote tracciato da Papa Francesco nel discorso con cui ha aperto in Vaticano la sessantanovesima assemblea della Conferenza episcopale italiana (Cei), nel pomeriggio di lunedì 16 maggio.

Commentando il tema dei lavori — il rinnovamento del clero — il Pontefice ha invitato a pensare a un prete ideale e a domandarsi: «Che cosa ne rende saporita la vita? Per chi e per che cosa impegna il suo servizio? Qual è la ragione ultima del suo donarsi?».

Le risposte che ne ha fatto scaturire rimandano all’essenza del magistero di Francesco, facendo trasparire in controluce il ritratto di un prete che si trova a operare «in un mondo in cui ciascuno si pensa come la misura di tutto» e dove «non c’è più posto per il fratello».

Ecco perché, ha spiegato, «la vita del presbitero diventa eloquente, perché diversa, alternativa. Come Mosè, egli si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere». Inoltre, «non si scandalizza per le fragilità che scuotono l’animo umano: è distante dalla freddezza del rigorista, come pure dalla superficialità di chi vuole mostrarsi accondiscendente a buon mercato».

Al contrario, «si fa prossimo di ognuno, attento a condividerne la sofferenza». Anche perché, ha proseguito il Papa, il prete ideale «non ha un’agenda da difendere, ma consegna al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente». E «così, non è un burocrate o un anonimo funzionario; né è mosso dai criteri dell’efficienza».

Anzi, consapevole «che l’Amore è tutto, non cerca assicurazioni terrene o titoli onorifici; per sé non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno, né è preoccupato di legare a sé le persone che gli sono affidate». Particolarmente evocativa l’immagine del prete «servo della vita», che «cammina con il cuore e il passo dei poveri» ed «è reso ricco dalla loro frequentazione».

D’altronde, ha aggiunto il Pontefice, egli «è un uomo di pace e di riconciliazione» e il suo segreto sta nell’amicizia con Gesù: «È il rapporto con lui a custodirlo, rendendolo estraneo alla mondanità spirituale che corrompe, come pure a ogni compromesso e meschinità». Citando Hélder Câmara il Papa ha quindi fatto riferimento alla missionarietà del presbitero, il cui tratto distintivo dovrebbe essere «la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione. In questo tempo povero di amicizia sociale — ha raccomandato in proposito Francesco — il nostro primo compito è quello di costruire comunità».

E «allo stesso modo, per un sacerdote è vitale ritrovarsi nel cenacolo del presbiterio» in un’esperienza che «libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali; favorisce una comunione non solo sacramentale o giuridica, ma fraterna e concreta».In un successivo passaggio il Papa ha quindi esortato a riflettere sulla «gestione delle strutture e dei beni economici: evitate — ha esortato — di appesantirvi in una pastorale di conservazione. Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio».

Dunque, è stata la conclusione del ragionamento di Francesco, il sacerdote è costituito da una triplice appartenenza «al Signore, alla Chiesa, al Regno», nella consapevolezza che «questo tesoro in vasi di creta va custodito e promosso».

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