Nel 1516 Tommaso Moro, politico di rango e cancelliere del regno di Enrico VIII, scrisse la famosa “Utopia” (… “deque insula Utopia”) cercando di cogliere nella loro complessità i vari processi di mutazione economica e sociale in quei tempi di aperto conflitto con la Chiesa di Roma.
Quella di Moro non era un’idea pellegrina sulla contestazione all’Atto di successione, bensì si presentava come un’isola dove il sogno di abolire la proprietà privata e di accettare la libera espressione della fede trovava facile conclusione.
Le utopie di oggi sono ben diverse e molto attrezzate per affrontare le difficoltà della Repubblica.
Diciamo la verità: da un decennio all’altro ci trasciniamo verso una costante insufficienza su tutti i fronti della vita pubblica. Il popolo italiano è in balia di volontà politiche rivolte più verso il potere in sé che non alle soluzioni per svoltare verso la normalità.
Percepiamo l’Europa come “matrigna” e nutriamo una certa ostilità verso la burocrazia di Bruxelles. La dipendenza dall’Europa dei 27 si misura con il destino delle future generazioni per le quali questa Europa è lontana, questa Europa non ci appartiene.
Anche i fanciulli capiscono che stiamo parlando di un continente privo di politica estera e di potere contrattuale in balia di alleanze precostituite, dove l’ultima parola viene da oltre oceano. Invece che essere l’ancora di salvezza di una cultura millenaria che ha saputo illuminare il mondo partendo dal concetto di “agorà” della Magna Graecia, il continente è divenuto la sponda marginale di interessi economici, politici, militari concepiti solo in funzione dei difficili equilibri di forza tra le potenze mondiali.
Così, l’Europa non ha una sua politica estera e le popolazioni vivono nell’incertezza delle scelte che si impongono per crescere nella solidarietà. Ancora oggi, la credibilità di un Governo si misura non già sulle cose fatte o sui programmi, bensì sul ripudio della Storia passata che è pur sempre la Storia d’Italia. Gli italiani non debbono guardare alle forme esteriori del potere, bensì all’obiettivo di una crescita democratica capace di sintonizzarsi con l’Europa, senza però perdere di vista l’orizzonte dell’interesse nazionale.