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Block Notes | 16 maggio 2022, 07:58

CASTELLI DI PACE

Block Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

CASTELLI DI PACE

Le nostre città italiane dalla unificazione in poi si si sono riempite di caserme fino al 31 dicembre del 2004 per accogliere giovani di leva che, quasi sempre per la prima volta, andavano a conoscere il mondo nella sua varietà, nella sua inclemenza. Come in ogni espressione della natura, in un ambiente estremo ci si strutturava o, raramente, si soccombeva.

Oggi questi spazi sono ovunque teatro di riqualificazioni urbane che in molti casi non perdono l’utilità pubblica né la vocazione collettiva, ma ne convertono le funzioni: diventano università, cittadelle delle scienze, della musica, dello sport…

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Il Castello Cantore oggi

Quelle che restano ospitano accademie di alta specializzazione, scuole per ufficiali, centri di addestramento assai qualificati. Gli spazi si sono ridotti e ammodernati negli edifici senza particolari qualità architettoniche, qualche gioiello storico ha conservato il suo valore ed è rimasto a testimoniare i fasti di un passato denso di storie esaltanti e terribili insieme.

Il Castello Cantore – già Jocteau dal proprietario savoiardo che nel 1907 lo fece erigere – appartiene all’ultima categoria elencata poc’anzi. L’edificio risale ai primi anni del Novecento, è in stile eclettico, pieno di richiami gotici, con una struttura compatta appena slanciata da due torri diverse, una a pianta quadrata, l’altra circolare così da sorprendere il visitatore che, osservando da punti di vista diversi, sembra riconoscere, nello stesso sito, più d’un castello. Dalla collina esposta a sud, la vista sulla città va scippata alle fronde rigogliose dei tanti alberi che popolano il parco: un mosaico di tigli, abeti, larici, aceri e faggi sapientemente disposti dal celebre “costruttore di giardini” piemontese Giuseppe Roda per proteggere e accogliere insieme generazioni di soldati italiani, ma anche gli occupanti tedeschi che, tra il 1943 e il ’45, s’impossessarono del presidio saccheggiandone i tesori.

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Cartolina d'epoca del Castello Jocteau

Questa domenica si è consumata una nuova occupazione, ma mite e civile: grazie alla lungimiranza del nuovo comandante, la scuola militare è stata temporaneamente consegnata a un piccolo battaglione di bambine e bambini, giovani ragazze e ragazzi seguiti in seconda linea dalle loro colorate famiglie che si sono impossessati degli spazi senza sottrarre alcun oggetto prezioso anzi, portando in spalle un po’ di bene immateriale: della buona musica.

Gli occupanti si sono sistemati nel “rocciodromo” – una palestra di roccia modellata a suon di mine e di picconate per permettere agli allievi di perfezionare le loro tecniche alpinistiche – per trasformarlo in un auditorium perfetto. Così, bimbi di pochi anni, ciascuno con uno stile corporeo diverso – teatrale e pieno di enfasi o incantato, in piena concentrazione come svagato e distratto – invece di arrampicarsi su ogni via possibile a camino, a fessura o a cengia ha intrecciato la sua voce con quella dei compagni accanto, effondendo una commuovente leggerezza, quella che ci svela come tutto potrebbe essere risolvibile, anche il più insanabile conflitto, se ne avvertissimo la pochezza delle nostre trame, dei nostri cicalecci rispetto alla vastità del Tutto, se cogliessimo della realtà lo spirito lieve del gioco. Ma soprattutto, come ci insegna Rodari, se chi ha tre cappelli e non sa che farne avendo un capo solo e per questo è malcontento, ne desse almeno uno a chi ha il capo bagnato perché un cappello non ce l’ha, passeremmo questo breve segmento di tempo che ci è stato assegnato tutti più serenamente…

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E poi, i più grandi hanno affrescato con timbri adamantini e voci intonate il loro futuro, ricordandoci che, per crescere, bisogna andare, avventurarsi nella vita spalancando le gabbie che noi stessi ci siamo allestiti come una seconda pelle o il mondo ci ha imposto, senza rischiare di precipitare appena dopo la partenza, senza che un proiettile qualunque ci annienti prima di sbocciare… Questo viaggio immaginario e collettivo, come ogni esercito in avanzata aveva un comandante: il nostro vantava un corpo solido, ricci biondi abbondanti e caparbi, gesti autorevoli e leggeri mossi da un’energia calibrata, mai esondante. Ha serrato le fila e mosso le voci in armonia, seguendo ritmi leggermente diversi, ma compatibili, irregolari come ogni respiro, come ogni battito di cuore, ma risonanti tra di loro. E soprattutto, ha diffuso un’atmosfera di affetto e fermezza, di cura e guida sicura.

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Grazie a questi occupanti e al loro capo, oggi la città è più estesa, dalla piana alla collina, e congiunge milizie di persone occupate a fare cose diverse, mescola le molte anime tutte compresenti in uno stesso uomo: quella che si difende, quella che si offre disarmata al destino, quella che canta marciando verso il nemico esorcizzando la paura, quella che canta per tenersi abbracciata ad altre in attesa della fine. Tutte insieme alimentano una forza che vedrà, alla fine della storia, avverarsi la profezia di Isaia: un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo…

In quel momento, si leverà un solo, unico canto.

E noi ci prepariamo fin d’ora.

Gianni Nuti

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