Sono arrivato all’appuntamento in Vaticano in anticipo di un’ora. Le ultime raccomandazioni ricevute minacciavano d’impedire l’ingresso a chiunque fosse giunto col minimo di ritardo: conoscendomi, meglio prevenire.
Nell’attesa entro nella Basilica di San Pietro, vista decine di volte, sempre sorprendente non solo per la vertigine che suscita la sua imponenza – lunga oltre duecento metri, alta quasi cinquanta, tempestata di bellezze – ma per il suo potere di accendere l’occhio dell’anima, quella che ti fa leggere cose nuove guardando le medesime opere, perché tu sei cambiato e la tua mente impone di scegliere particolari per te inediti, rivelandoti a te stesso, colmandoti di una meraviglia che colma e fa lievitare.
Indugio un po’ sulla tomba di Alessandro VII (nella foto), che dimora nell’ambulacro – lo spazio percorribile dietro al coro – al termine della navata sinistra della basilica. L’opera del Bernini, il medesimo genio barocco autore del grande baldacchino e di quell’enorme reliquiario che è la Cupola di San Pietro, raffigura un papa supplice attorniato da seducenti virtù: La Carità, la Verità, la Giustizia e la Prudenza. Al centro un drappo marmoreo fatto di diaspro rosso di Sicilia che copre, solo in parte, uno scheletro nero, con in mano una clessidra. Un trionfo di instabilità tragica, una esortazione muta affinché non si perda il nostro Tempo in cose vane, affinché si combatta la morte esercitandoci a una buona vita.
Torno verso la Porta di Bronzo da dove si salirà verso la Sala Clementina. Le guardie svizzere, più che forza, emanano dolcezza e colore e accolgono una nuvola di fusciacche tricolori in campo scuro, così come un traliccio viene trapassato da uno sciame di chiassose cavallette.
L’attesa è breve, giusto il tempo di scambiarsi qualche notizia su come fronteggiare questo imminente effluvio di denari dall’acronimo impronunciabile che obbliga tutte le comunità ad attrezzarsi con sforzi straordinari. Poi iniziamo la salita verso le stanze vaticane percorrendo lunghe scale, spoglie solo rispetto all’apoteosi di affreschi che popola i saloni superiori.
Eppure, nonostante i fasti ancora vividi, a memoria di un’epoca remota, fin dall’inizio si respira un clima di sobrietà. Il brulicare di addetti, operatori, cerimonieri non è fatto di lacchè e di cicisbei, ma di persone operose e sinceramente partecipi, con i volti dei nostri vicini di casa.
Ci sistemiamo nei posti assegnati: la fortuna e l’ordine alfabetico mi pongono in seconda fila, dietro al mio nuovo amico Leoluca Orlando. Il cardinale Edoardo Menichelli introduce l’incontro con un discorso lucido e acuto, in cui cita più volte Giorgio La Pira: un modello per tutti i sindaci del mondo laici, cristiani o d’altro credo. Durante l’attesa mi fermo a osservare le tensioni e le distensioni di cameramen e fotografi, del personale continuamente oscillante tra l’allerta e il riposo: una specie di risacca continua tra onde opposte, sempre calmierata da un sentimento diffuso di prudenza e dedizione.
Quando esce dalla porta di sinistra, malgrado l’agitazione intorno, sembra sia giunto un viandante d’occasione, ignaro di ciò che lo aspetta: con il suo passo claudicante, aritmico, il Santo Padre avanza frettolosamente, rivolgendo sorrisi generosi, ma anche scrutatori, interrogativi.
Il Papa incontra i Sindaci
La veste talare bianca, con la consueta mozzetta sulle spalle e la fascia intorno alla vita, sembra appiccicata addosso come si faceva da piccoli con le sagome di carta alle quali si appendevano abiti diversi: allora, accusando la precarietà delle linguette laterali, le si piegava ogni volta con sempre maggior cura, per evitare lo strappo e non far cadere i sottili corpi di cellulosa. Qui, è chiaro che se ne libererebbe volentieri il modello per sua mano, senza concorso altrui.
Dopo i ringraziamenti emozionati del nostro rappresentante, prende la parola Francesco, piegandosi verso di noi col busto, con una gamba più avanti dell’altra, forse per calmierare un dolore all’arto da tempo offeso. Le sue guance vaste e pendenti iniziano a muoversi: mi sovviene un accostamento irriverente ma affettuoso a Braccobaldo Bau, un personaggio bonario e amichevole di Hanna e Barbera e mi sento a casa, avvolto in un Tempo fuori dal Tempo.
Papa parla ai Sindaci
La voce è consistente, stemperata da quella s sibilante tipica dello slang ispanico: una mescolanza di vibrazioni che penetra nei petti dei presenti in modo fatale, incontenibile.
Le parole di comprensione e di apprezzamento per la fatica vissuta, in questi due ultimi anni, nel traguardare la nostra gente oltre il guado limitando le perdite, stemperando le rabbie, consolando le pene lasciano il posto a pensieri sulla cura dei popoli, espressi senza un filo di retorica, da uomo a uomo, anzi nel nome del Dio che abita ogni uomo, suo malgrado.
Sì, perché l’ostinato desiderio di travalicare la propria finitudine è carattere del genere umano, espressione della sua biodiversità, e la volontà di migliorare le condizioni di vita di intere comunità di persone nasce dal riconoscere che la multiformità è l’anima dello stare insieme e un senso lo troviamo in uno sforzo collettivo per conseguire piccole, provvisorie conquiste di civiltà.
Il Papa si intrattiene con il Sindaco di Aosta
Francesco ci chiede di farlo tessendo reti di relazioni solidali, grovigli di radici che nutrano vicendevolmente tutte le forme vive della Terra.
Così, io credo, si riconosce come la Natura sia fatta di legami stretti tra corpi viventi e il senso si trova nell’accettare di essere qui, intensamente, nel nome di una inquietudine tesa verso il ricongiungimento con il Tutto, e che questo è instabile, destinato a una continua metamorfosi fatta di memorie e di oblio, di presenze e di assenze, soprattutto di un mistero inafferrabile.
E le virtù, quelle scolpite nella tomba di Alessandro VII, sono i prodotti più alti delle menti umane, sedimentati in millenni di esistenze e di morti, di tormenti ed estasi che dobbiamo infuocare ogni giorno nella fornace del pensiero collettivo per dare loro forma nuova e nuovo spirito.
Foto ricordo dei Sindaci con il Papa
Inutile parafrasare le parole di Francesco, leggetele qui:
https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/february/documents/20220205-sindaci.html
Mentre dell’incontro vis à vis, delle poche parole scambiate in comunione, degli sguardi catturati a vicenda non parlo, non serve: che si trasmutino in devozione e buone opere per la mia indulgente e misericordiosa gente