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In Breve

| 06 febbraio 2022, 12:46

GIOVANNI GORIA: LA MISURA LIBERA

Block Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

GIOVANNI GORIA: LA MISURA LIBERA

In mezzo a tanti personaggi attempati che varcavano le soglie del Parlamento, ai miei occhi di ventenne pareva quasi della mia generazione: un ragazzone, Gianni Goria. In mezzo a una schiera di politici calvi – Fanfani, De Mita, Craxi, Follini, Natta… – quel tripudio di barba, sopracciglia e capelli prima scurissimi e poi finemente brizzolati risultava l’equivalente di una foresta tropicale in mezzo alla steppa: una lussureggiante oasi di vita.

Così si percepiva la presenza che questo personaggio dallo sguardo amabile concedeva in televisione (in quell’epoca nessun politico si sognava di ballare con le stelle…), nonostante i pochi movimenti delle braccia, una certa rigidità del busto, la corpulenza via via più pronunciata col passar del tempo, la mano sempre impegnata, con levità e grazia, a tormentare la fede indossata nella sinistra, forse per esorcizzare la spinta di una parte di sé che avrebbe preferito essere altrove.

Si era sensibili in particolare tra noi astigiani, a quella sua dedita, operosa volontà d’incidere sulla terra con puntiglio, pazienza e una temperata passione che combinate insieme, come un buon vignaiolo insegna, permettono di conferire a un buon vino quel bouquet raffinato ed esclusivo, quell’impatto al palato che sprigiona in ogni papilla una sorpresa di piacere e pienezza.

Ma ci vuole tempo.

Così, un giovane brillante ragioniere di provincia, delfino di Giovanni Borello, storico presidente della Cassa di Risparmio di Asti, ovvero un istituto bancario di prossimità, aggrappato alla terra pedemontana ancora oggi, in tempi di fusioni e confusioni interbancarie, fece una carriera politica di alto profilo, ma a fermentazione lenta.

Somigliava alla sua gente Goria: parole scarne e giuste, una mescolanza tra ambizione, socialità e riservatezza, un desiderio di scavare a fondo, soffermarsi a osservare i fenomeni della natura – anche quelli economici sono naturali – per interpretarne i moti più sottili, per immaginarne impensabili sviluppi utilizzando più il fiuto degli algoritmi.

E proprio grazie alla sua capacità di padroneggiare i numeri, ma anche di non esserne schiavo, aveva maturato un’idea modernissima dell’economia ancorandola alle sue radici culturali democratiche e cristiane: non si doveva più intervenire ex post sulle conseguenze nefaste prodotte da un’economia basata sul profitto, sul taylorismo e la sua netta divisione del lavoro, calmierando gli effetti di un impoverimento dei ceti più esposti attraverso forme di sostegno d’impronta assistenzialistica.

E neppure si doveva considerare un cardine del welfare italiano la spirale perversa della crescita lineare e concatenata di inflazione e scala mobile, perché toglieva risorse a tutti promettendo al meno abbiente un’illusoria protezione. Quella condizione che il suo caro amico – e Ami de la Vallée d’Aoste – Giuseppe De Rita chiamava individualismo protetto, ovvero una condotta che permetteva di sfruttare in modo meramente utilitaristico la dimensione competitiva del mercato per la propria crescita, godendo sempre della tutela e del salvagente dell’ente pubblico, andava superata. Era necessario, invece, entrare nei processi e nei meccanismi della politica economica come strumento principale per riconoscere e governare un indissolubile legame tra interessi individuali e collettivi, promuovendo equità e distribuzione ponderata della ricchezza.

E lo si poteva perseguire costruendo una forma di corresponsabilità organica, nella quale ogni lavoratore è coprotagonista e non gregario, l’imprenditore è consapevole di come la sua opera cresce e conferisce senso alla sua vita se chi lavora con lui e chi consuma i suoi prodotti è coinvolto nei processi decisionali a qualche titolo, può esprimersi creativamente e tutti si prendono cura reciprocamente, rendendosi co-artefici della loro felicità. E ancora, la collettività deve garantire regole chiare e credibili, affinché esse siano non solo rispettate, ma condivise da tutti, garanzia di una qualità alta dello stato sociale.

Ancora e vieppiù oggi, solo in questo modo, con una economia civile – direbbe Zamagni – sarà possibile promuovere uno sviluppo integrale del singolo uomo e insieme di interi popoli.

Come Ministro del Tesoro, per oltre quattro anni e in governi diversi tra il 1983 e il 1987, questo ragioniere nobile lavorò a testa bassa su dossier fondamentali ancora oggi – il rigore dei conti pubblici, le politiche per la casa, la modernizzazione dell’agricoltura, i criteri meno lottizzanti di nomina dei vertici bancari, la necessità di prevedere forme di tassazione decentrata, ecc… –. Poi volò basso, ma con senso di servizio e grande popolarità silenziosa e crescente negli otto mesi di Presidenza del Consiglio, tanto che nel 1989 fu consacrato da una valanga di 640.403 preferenze nella circoscrizione nord-ovest come primo eletto al Parlamento Europeo. Operava con pragmatismo, ma aveva visioni lunghe. Così pensava all’Europa: non quella dei dodici del mercato unico di allora, né quella unita dall’opposizione contro la cortina di ferro, ma l’immaginaria, romanzesca – speriamo futura – terra compresa tra l’Atlantico e gli Urali, perché solo in condizioni di ampia e libera circolazione delle risorse e dei talenti ci sarà spazio per il bene per tutti.

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La sua identità europea si basava su tre caratteri cardine qualificati come “interessi reali”:

- una concezione della vita come scommessa individuale non condizionata a priori da forme vincolanti di appartenenza collettiva: sarò ciò che saprò diventare;

- una concezione del tempo dove hanno un peso relativo tanto la memoria quanto la trascendenza: è l’oggi quello che davvero conta;

- L’indebolimento del valore della nazione come ambito necessario dell’appartenenza a favore di identità di riferimento più vicine o più ampie: sono interessato al mio borgo al mio quartiere, perché lì vivo, guardo al mondo perché lì opero.

Dunque, la centralità della persona e la sua promozione nel mondo, il desiderio di far bene qui ed ora, alleggerendosi dagli ancoraggi troppo stretti al passato o a prospettive di salvezza eterna, una rappresentazione dello spazio-vita nel contempo prossimale e aperto. Sembra il ritratto di un giovane Erasmus…

Il Crollo della Prima Repubblica ha travolto corrotti e giusti, malfattori e galantuomini. Anche Giovanni Goria è caduto mentre, con il solito senso dello Stato, operava in prima linea: forse il dolore per le calunnie raccolte, forse l’abitudine a serbare per sé tutte le pene, strette nella giacca abbottonata e nel sorriso così serrato da obbligarlo a deviare la voce verso il naso lo hanno piegato troppo giovane. Avrebbe potuto dare, a questa Seconda e già bolsa Repubblica un rigoglioso, oggi magari bianco, bosco di vitalità, gentilezza e misura.

Gianni Nuti

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