Spesso mi si chiede chi me l’abbia fatto fare.
Le ragioni sono molte e alcune di esse sono già emerse nei miei interventi, ma a una tengo in modo particolare perché lega memorie, studi e soprattutto un daimon, una predestinazione da scoprire vivendo, che ciascuno di noi porta con sé.
I lettori ricorderanno il mito di Er dove si narra che, tra cielo e terra, tra Dio e uomo sta una zona intermedia, casa dell’anima, spazio nel quale dimora il messaggero che ci ricorda il disegno scritto sulla tavola della nostra vita da prima di nascere. Ecco, tra il desiderio di insegnare, dare un aiuto all’educazione delle persone e mettersi a servizio di una collettività perché viva meglio non ci sono, a mio avviso, che ponti solidi e leggeri, fondati sullo spirito del servire. D’altronde, ne abbiamo già parlato, ma su questo ponte scopro altri fattori comuni che mi piace sottolineare, magari in due puntate di questa rubrica.
Il primo è legato alla certezza di non vedere la fine.
Cimentarsi nella costruzione di un manufatto artistico o artigianale, nella coltivazione della terra, in una attività imprenditoriale permette di vivere la completezza di un processo produttivo, la pienezza derivata dal generare una forma, dal seguirne l’evoluzione e dal chiuderne i tratti. In altri campi c’è una possibilità di raggiungere un risultato pieno con un margine di rischio di fallire, come nella medicina, nella ricerca scientifica, ma la tensione verso la méta alimenta comunque un’energia vitale portatrice di senso a chi la esperisce e alcuni risultati intermedi possono essere sufficientemente appaganti.
(nella foto daimon portatore di destin)
Tanto nell’educazione come nella vita politica si ha contezza d’operare quotidianamente senza la minima possibilità che tale mobilitazione porti risultati pieni di breve o medio termine: si semina perché qualcuno raccolga più avanti, e il riconoscimento è sempre tardivo o postumo. Una scelta politica, che deve anticipare l’evoluzione futura del corpo sociale ed economico sul quale si agisce, non pianifica le proprie azioni sulla base di un ritorno di consenso a fine mandato, ma per le generazioni future, come Mandela ha insegnato, anticipando i tempi, conciliando concretezza e visionarietà.
Anche nell’educazione sappiamo che, sulla crescita della persona, l’investimento in termini di energia, di strategia e di affettività capitalizzerà lungo tutto l’arco della vita delle persone coinvolte, spesso in modo impercettibile ancorché reale, altre volte in modo derivato e laterale rispetto ai campi sui quali l’azione educativa si è svolta. Dunque, in termini di gratuità, i due impegni si equivalgono, allorquando sono entrambi legati dallo spirito di offerta, di dono.
Il secondo tema-ponte è rappresentato dalla ricerca costante e dinamica di un equilibrio tra universale e particolare.
Ciascun soggetto che vive in una comunità cerca un riconoscimento della sua esistenza per le specificità incarnate, per ciò che lo contraddistingue dal resto del gruppo nel quale è immerso, ed è umano solo ciò che permette a ciascuno di sentirsi legittimato ad esistere e ad esprimersi con tutto il potenziale personale possibile.
In politica ogni cittadino deve essere “chiamato per nome”, va fatto emergere il suo profilo dal mare dell’anonimato per renderlo visibile, partecipe della vita pubblica e attivo nei processi collettivi sulla base di una scelta libera e consapevole. Contestualmente, è indispensabile che sia tracciata una linea d’orizzonte comune, nella quale tutti trovano un raggio rifrangente che li faccia scoprire, ma dove nessuno domina, non ci sono prevaricazioni di colore, ci si ritrova piuttosto in un unico mélange con compiti e pesi differenti.
In campo educativo, è imprescindibile porre le condizioni affinché la persona s’interroghi rispetto alla propria identità in formazione e in evoluzione trasformativa grazie al confronto con gli altri. Questo può avvenire solo se un intero gruppo coopera attorno a una serie di obiettivi comuni e ciascuno è messo nelle condizioni di dare un contributo originale alla causa, complementare a quello altrui, insostituibile rispetto alla qualità del prodotto finale.
(Nella foto giudizio universale angel tubicini annunciano fine dei tempi)
Analogamente, nella politica la sfida più grande è la conciliazione tra un sogno individuale e un’utopia collettiva: la sfida suprema è accogliere ogni posizione, sottoporla a una progressiva trasformazione universale – in senso etimologico, ovvero versus unus – fino a convergere sulla scelta giusta, frutto di uno spirito di comunità e non di un solo soggetto, suffragata da evidenze e dati, da un’analisi del caso equilibrata e scevra da preconcetti, dinamica e non dogmatica, calibrata sui tempi più fisiologici per ogni specifico processo generativo.
Seguendo questo spirito, ho fede che sia possibile perseguire nello stesso tempo la felicità delle persone e la migliore convivenza possibile tra tanti. (1. Continua)