Di un film, di una buona musica si coglie il significato pieno solo alla fine. Certo, un buon incipit è fondamentale per attirare attenzione e segnare il confine tra una dimensione reale e una immmaginaria, l’evoluzione della trama serve a dipanare un filo di senso e di stati emotivi fluttuante e vario, innervato dal fascino per l’intrigo. Ma solo all’epilogo sapremo se è andata bene, se il viaggio è stato ricco e il tempo ha scolpito forme nuove nelle quali ci riconosciamo.
Così va la nostra vita: ogni esperienza diventa memorabile nella misura in cui ha un inizio spiccato ed emozionante e si trasforma nel tempo consentendoci di adattare comportamenti e umori ad ogni cambiamento secondo un gioco di equilibri tra il restare ciò che si è e il vedersi cambiare (rivelandoci a noi stessi) con appropriatezza.
Ma, soprattutto, finisce bene.
Qualche giorno fa è venuta Nora nel mio ufficio. Minuta, composta e alimentata da una vitalità giovane e misurata, è entrata con una postura retta ma non altezzosa, piuttosto specchio di una condotta morale incarnata: la rettitudine. Gli occhi scuri di pienezza, non di gravità o vuoto, traspiravano una sincera, esperta gioia di vivere, difficile da trovare in mezzo a una corona di capelli bianchi…
Nora va in pensione.
Dopo trentatré anni di servizio alla Azienda di Pubblici Servizi, chiude in un agosto fresco e piovoso – quasi marzolino – questo capitolo lungo della sua storia di vita. La qualità del suo congedo getta una luce chiara sulla sua carriera di impiegata, rivela uno stile, descrive un clima interiore e d’ambiente intorno alla persona.
- Sono venuta per salutare, ringraziare ed esprimere un sentimento che è anche una pena.
- Sono io che ringrazio lei, ma quale pena?
- Soffro da troppo tempo nel sentire denigrare l’azienda in cui ho vissuto per molti anni che non merita d’essere rappresentata a tinte così fosche: questa realtà produttiva è fatta di persone, la gran parte delle quali votate con sincera dedizione al bene della collettività, operose e piene di volontà.
Non ho dubbi sul fatto che Nora abbia ragione e che l’immagine di una partecipata pubblica coincida, nell’immaginario collettivo, a un carrozzone inutile e autoreferenziale alimentato dal politico trafficone, dedito principalmente a crearsi un piccolo ma capiente impero di consensi edificato secondo rozze tecniche clientelari piuttosto che ad amministrare.
E allora cominciamo da Nora e dalla sua testimonianza: un esempio di come imparare un mestiere, assumere un ruolo e una serie di funzioni necessarie alla vita di molti altri, di come aggiornare le proprie conoscenze man mano che il mondo cambia e insegnare alle nuove generazioni i propri saperi, perché non sono strumenti di potere ma forme di dono.
E raccogliamo il suo testimone svolgendo un compito: creare le condizioni affinché l’amorevolezza con la quale lei ha compiuto la missione che le era stata affidata e che traspare ancora dalla luce dei suoi occhi scuri permei ogni ufficio di cui la sua, la nostra azienda è composta e diventi trasparente per tutti i cittadini come una forza pacifica e silenziosa divenuta fonte di benessere per tutti.
Portare a compimento un’opera non è solo faccenda d’artisti, ma di ciascuno di noi quando riusciamo a dare una forma al nostro vivere che ci faccia dire, alla fine: è tutto giusto.
Nora ce l’ha fatta e, per ciò, non fa coincidere una fine con una morte, ma con un inizio: ha regalato alla cittadinanza un albero, sapendo quanto amiamo questa creatura, un Pinus Flexilis, un pino agile, capace di crescere forte e di adattarsi a molte terre, a superfici differenti invitandoci a far fiorire una vita di servizio modellando i nostri rami, le nostre fronde alle persone e alle cose che ci stanno intorno e che ispirano le nostre forme del pensiero e dell’azione.
Ora tocca a noi.