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In Breve

| 23 maggio 2021, 12:00

C’è del nuovo nell’aria

Blok Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

C’è del nuovo nell’aria

Questa primavera somiglia molto alla nostra uscita dal periodo più nero dell’umanità contemporanea: nonostante la persistenza di tutti i fenomeni atmosferici tipici dell’inverno – precipitazioni, temperature basse, venti forti di grecale – le fronde s’infoltiscono, i prati si tempestano di margherite, viole del pensiero, campanule, biancospini e tarassachi, il cielo s’anima dei cinguettii più petulanti.

Siamo prudenti, ma forse, nonostante le resistenze, si ricomincia a vivere dopo un anno e mezzo di maschere e di tempi claustrali.

Ci sono due modi, però, per uscirne fuori del tutto.

Il primo è simile a una piena di fiume, che esonda e invade confondendo case e campi, seminando fertilità ma anche devastazioni, rapimenti, perdite. È la strada dello sfogo e dell’oblio: non è capitato nulla, recuperiamo il tempo perduto, consumiamo ciò che abbiamo risparmiato per tutti questi mesi, non guardiamo l’orizzonte, ma affondiamo il capo nel trogolo e saziamoci, finalmente.

Il secondo somiglia a un pensiero che, al mattino presto, a mente sgombra e corpo quieto, si fa chiaro, si dipana con un profilo nitido, inconfondibile e realizzabile dopo un lungo tempo di gestazione durante il quale ci siamo arrovellati, tormentati, confusi pensando di non venirne mai a capo, temendo un fallimento.

Invece, inaspettatamente le variabili si compongono, i dubbi si sciolgono e il pensiero è già carne, cosa fatta: da quel momento in poi la realtà si conformerà materializzandolo, adattando qualcosa, modellandolo sullo spazio vero, ma non si torna più indietro e il problema è risolto. In quel caso, nulla di quanto vissuto nella notte alta è vanificato, il tormento è diventato testata d’angolo, la prigionia si va trasformando in uno spazio di meditazione e il dolore in forza vitale.

Si paragona spesso la pandemia alla guerra e, la sua fine, alla fase della ricostruzione: non dimentichiamo che nell’ultimo dopoguerra, insieme al boom economico e al benessere materiale conseguente, abbiamo deturpato le nostre città e sfigurato spiagge, oasi naturalistiche e intere isole, inquinato mari e infestato aria e terre.

Non è più tempo, dobbiamo invadere le nostre vite di pensieri chiari e opere leggere, che restituiscono alla natura spazi ed equilibri e alle nostre menti un po’ di libertà dalle gabbie che noi stessi ci siamo costruiti per difenderci o per sentirci al sicuro.

M’immagino quindi la città che spazza via fumi e idrocarburi, cementi a vista, barriere architettoniche e ostilità per chi è diverso – quindi l’intera umanità – e decide di vivere intensamente consumando esperienze e non suolo, recuperando relazioni, contatti, scambi, cercando il vero profitto, quello che fa guadagnare molto per distribuire di più e ricevere il centuplo.

Ci vuole passione e misura, come per modellare una buona opera d’arte: troppa energia avventata deforma idee e cose, un’accorta e insieme tesa volontà di agire per spoliazione e non per accumulazione, per tratti e non sversamenti produce una buona forma; ma bisogna essere ispirati da uno sguardo lungo, capace di andare oltre noi: questo può allungare il tempo dell’esistenza di una specie animale tutt’altro che onnipotente, ma capace di captare la presenza di un mistero nell’universo e nutrirsene, alimentando il vero bene.

Gianni Nuti

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