Una delle ragioni per cui preferisco Montalbano a Rocco Schiavone risiede nella struttura stessa delle due serie di romanzi. Premetto che leggo entrambi per puro svago, quando non voglio impegnare il cervello e quindi non ho alcuna ambizione di critica letteraria.
In Montalbano ogni romanzo è una storia a sé, che si dipana con una sua autonomia. Ormai conosci i personaggi, i loro metodi, sei come in famiglia, puoi infilarti in qualsiasi momento nella vicenda e ti ci ritrovi.
Schiavone invece segue un suo fil rouge fitto di misteri e ricordi che si rivelano di romanzo in romanzo, mai completamente però, così da lasciare un varco alla suspense dell'episodio successivo. Se ti sei perso un libro o li leggi in un ordine diverso da quello di pubblicazione, ecco che non capisci più niente, da dove è saltato fuori l’amico cane, dov'è già che è stata trovata la vittima…
Poi c'è l'ambientazione. Camilleri scrive di un paese immaginario convergendovi le peculiarità vissute e amate della sua regione, di qualsiasi cittadina siciliana che anche noi crediamo di conoscere. Manzini muove le sue storie in un paese reale, che per di più è la nostra regione, ma mostrandocelo come la sua fantasia di scrittore esige che sia, freddo anche d'estate, inospitale e un pò snob.
Noi valdostani non possiamo evitare di notare le licenze letterarie che l'autore si prende, con pieno diritto, ma questa Valle ci mette un pò a disagio, non la riconosciamo e, diciamocelo, temiamo di scoprire che è proprio come lui la descrive.
E’ come se cercassimo di romanzare la nostra politica. Esempio azzardato? Vediamo un po’.
Giusto o sbagliato che fosse, fino a pochi anni fa i gruppi politici erano pochi ma chiari, sapevi a cosa puntavano e a fine legislatura facevi i conti di cosa era stato fatto e cosa era stato sbagliato e potevi votare di conseguenza. Come in Montalbano, il lieto fine era in qualche modo un pò amaro, la società non era perfetta e sapevi che qualche pasticcetto sarebbe comunque riaccaduto.
Ma ci sentivamo rassicurati dal sentirci una comunità compatta e partecipante. Adesso, giusto o sbagliato che sia, è un susseguirsi di capitoli incompleti, dal finale sempre aperto. Non è chiaro quali giochi si celino dietro ad ogni manovra, ogni capitolo stravolge l’idea che credevi di esserti fatta della situazione, da dove spunta quel gruppetto, ma quello non stava con quell’altro….
E sullo sfondo sempre l’ambiguità di qualche personaggio che di tanto in tanto riappare, che ti sembrava fosse stato archiviato in un precedente paragrafo e invece ma va’, si teneva pronto per un nuovo colpo di scena, senz’altro non l’ultimo. Ma quello che ci scombina di più, è che tutti parlano di una regione in fase di rinnovamento, di risalita e di unificazione, ma in tutte queste “licenze letterarie” fatichiamo a riconoscere il nostro vero paese e ci sentiamo solo comparse irrilevanti e senza un ruolo preciso.
Il romanzo si scrive senza di noi, lo compongono loro lasciandosi, ad ogni puntata, uno spiraglio aperto per un possibile rientro in scena. Non viene voglia di voltare pagina e sperare in un’altra storia?