CRONACA - 09 febbraio 2021, 16:33

Assoluzione Longarini, nessuna falsità dai carabinieri di Aosta

L'ex comandante del Reparto Operativo CC di Aosta, Samuele Sighinolfi

L'ex comandante del Reparto Operativo CC di Aosta, Samuele Sighinolfi

La doppia assoluzione, in primo e secondo grado, dell'ex pm aostano Pasquale Longarini dalle accuse di rivelazione del segreto d'ufficio e induzione indebita è acclarata e determinata dall'esame dei fatti da parte di due collegi giudicanti. Ma è altrettanto vero che, contrariamente a quanto affermato dai giudici della Seconda sezione penale di Appello del tribunale di Milano nelle motivazioni alla loro sentenza, nessun carabiniere di Aosta ha mai detto o scritto falsità che avrebbero indotto in errore i pm che indagavano sul loro collega aostano. 

Le motivazioni riassumono in 45 pagine l'intero procedimento contro Longarini che sarebbe stato secondo i giudici "originato da dichiarazioni non vere" rese nell'autunno 2016 da un investigatore ai magistrati inquirenti. Il riferimento, nero su bianco, è al tenente colonnello Samuele Sighinolfi, all'epoca comandante del Reparto Operativo di Aosta.

I giudici stigmatizzano anche "i rilievi degli operanti, la credibilità dei quali, è alquanto scarsa". A una prima e semplice lettura sembrerebbe che un ufficiale dell'Arma insieme forse ad alcuni suoi collaboratori avesse ordito un complotto contro Pasquale Longarini inventandosi reati e costruendo indagini fantasiose, ma (pur nel ribadire una volta di più l'estraneità dell'ex pm ai reati contestati) le cose non sono andate così.

Indagini delle Fiamme Gialle di Milano, non dei carabinieri di Aosta

Innanzi tutto, le critiche dei giudici di Appelllo ai rilievi degli operanti appaiono stranamente ma con tutta evidenza rivolte ai carabinieri, quando invece le indagini sul 'caso Longarini' sono state svolte interamente dalla Guardia di finanza di Milano. I carabinieri di Aosta (o meglio il tenente colonnello Massimiliano Rocco che era comandante del Gruppo CC della Valle) consegnarono sì nel 2015 all'allora procuratore capo Marilinda Mineccia una nota investigativa che conteneva ipotesi di reato nei confronti di Longarini, ma il loro intervento finì lì: la nota fu inviata per competenza a Milano e le indagini sul pm aostano e su Cuomo assegnate alle Fiamme Gialle meneghine che, correttamente, mai informarono i carabinieri di Aosta sull'andamento dell'inchiesta, della quale lo stesso Sighinolfi rimase sempre all'oscuro.

Va ricordato che l'accusa più grave contro Longarini era quella di aver rivelato al suo intimo amico Cuomo che un suo interlocutore commerciale, Giuseppe Nirta (nella foto insieme alla sua compagna, che secondo la polizia spagnola lo avrebbe ucciso nel 2017), era indagato dalla Dda e ritenuto un boss della 'ndrangheta. Fatto sta che un bel giorno (29 marzo 2015) Cuomo smise improvvisamente di relazionarsi telefonicamente con Nirta, quindi per confermare l'accusa contro Longarini era necessario capire quanto Cuomo fosse addentro le vicende criminali oggetto di indagine dell'Antimafia.

Dai verbali informativi dell'inchiesta milanese emerge la verità

Riassumere tutto nelle poche righe di un articolo è difficile, ma ci si prova, anche servendosi dei finora mai apparsi (perchè rimasti per il tempo necessario nei cassetti del Palazzo di Giustizia di Milano) 'Verbali di assunzione informazioni' rese dallo stesso ufficiale Sighinolfi, sentito due volte, il 5 ottobre 2016  e il 16 marzo 2017, dal pm milanese Roberto Pellicano nel corso delle indagini da lui condotte (insieme al collega Polizzi) su Longarini, sul titolare del Caseificio valdostano, Gerardo Cuomo e sull'imprenditore Sergio Barathier. 

"Sono tuttora incaricato di esecuzione di indagini, su delega della Dda di Torino- verbalizzò Sighinolfi al magistrato Pellicano - che riguardano un sodalizio criminoso composto da appartenenti di famiglie di origini calabresi, tra i quali i Nirta e i Di Donato (...)". Ovviamente l'ufficiale parlava dell'inchiesta Geenna e della complessa rete di rapporti che emergevano dalle intercettazioni dei personaggi coinvolti. Sul punto, i giudici di Appello sostengono nelle motivazioni che Sighinolfi avrebbe falsamente indicato Cuomo quale uno dei principali indagati quando invece l'imprenditore non è mai stato iscritto sul registro degli indagati in Geenna o in fascicoli collegati.

In realtà nelle informazioni rese al pm Pellicano, l'ufficiale spiegò che all'epoca dei fatti di cui stava parlando, "ritenevamo Cuomo un personaggio strategico della nostra indagine, uno dei principali indagati" riferendo quindi quell'ipotesi non in senso generico ma ad un momento ben preciso, ovvero almeno fino al marzo 2015. Da tenere presente che l'imprenditore alimentare fu intercettato almeno sino al gennaio 2016 e che per le Forze dell'ordine intercettare è certamente sinonimo di 'indagare' su qualcosa o qualcuno.

Inoltre Sighinolfi verbalizzò a Pellicano che Cuomo era stato sentito a sommarie informazioni (quindi non in veste di indagato iscritto sul registro e dunque alla presenza di un avvocato) nel gennaio 2016 nella sede del Comando CC ad Aosta: a questa affermazione il pm Pellicano non mosse alcuna contestazione, lasciando intendere di aver ben compreso il significato di 'indagato' secondo il tenente colonnello Sighinolfi.

Ancora, i giudici di Appello contestano all'ufficiale dell'Arma di aver falsamente detto di aver incontrato, "verso la fine di marzo o i primi giorni di aprile" 2015 il pm Longarini nel suo ufficio per parlargli delle indagini su Giuseppe Nirta, colloquio in cui lo stesso Sighinolfi avrebbe detto al pm che Cuomo aveva contatti con il pregiudicato calabrese. Scrivono i giudici che "l’ex pm aostano – come provato dalla sua difesa – era stato assente dall’ufficio dal 31 marzo al 7 aprile 2015”.  Sighinolfi però al pm Pellicano disse di essersi recato in procura insieme a due luogotenenti ma non da Longarini, bensì da un altro pm che quel giorno era di turno. Come spesso accadeva Longarini, nonostante non dovesse lavorare, in quel momento si trovava comunque nel suo ufficio "e fu lo stesso suo collega - si legge nel verbale dell'ufficiale - a riferirci di andare da Longarini perchè il fascicolo sarebbe stato comunque coassegnato con quest'ultimo". 

Sighinolfi specifica  dunque correttamente e inequivocabilmente che il fascicolo della Dda era a carico di un sodalizio criminale composto dai membri delle famiglie (termine che va inteso in senso 'nadranghetistico) Nirta e Di Donato. Parla di Cuomo come soggetto strategicamente importante ai fini investigativi e quindi 'indagato' ma alla stregua di decine di altre persone nell'ambito di Geenna i cui nomi non sono mai stati iscritti sul registro.

Non ci sono incongruenze sul periodo del colloquio con Longarini sempre indicato in marzo o fine marzo e inizio aprile. Tra l'altro coincide proprio con il fatto che Longarini non fosse in servizio perché Sighinolfi specifica che il giorno in cui si recò in Procura era di turno un altro pm ma appreso da lui che Longarini era comunque in ufficio erano poi andati da lui.
Dai verbali emerge che il colloquio e l'assunzione delle informazioni nell'ufficio di Longarini sono confermati da tutti gli altri carabinieri presenti quel giorno e sentiti dai pm milanesi: si tratta di militari che hanno dato prova di indiscussa professionalità e correttezza nelle più importanti indagini in Valle d'Aosta degli ultimi 20 anni. Sempre leggendo i verbali delle informazioni rese da Sighinolfi si accerta che fu lo steesso Cuomo, prima di lasciare gli uffici del Comando CC di Aosta, a dire che qualcuno gli aveva consigliato di interrompere i rapporti con Nirta e i militari diedero atto di questa circostanza specificando chiaramente, senza nessuna falsità, che quelle affermazioni erano state formulate fuori verbale.

pa.ga.

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