C’è una sensazione che attraversa il Paese come una tassa occulta: quella di essere stati traditi e presi in giro. E non riguarda solo chi questo governo lo ha votato con convinzione, stringendo la scheda elettorale come una cambiale di speranza. Riguarda anche chi non lo ha votato, chi era scettico, chi aveva capito che dietro gli slogan c’era poco altro. Alla fine, però, il conto lo pagano tutti. Sempre gli stessi.
In campagna elettorale era tutto un fiorire di promesse: meno tasse, più equità, mano dura con i furbi, difesa del lavoro, rispetto per pensionati e famiglie. Una narrazione rassicurante, quasi patriottica. Poi, una volta al governo, la musica è cambiata. O meglio: è rimasta la stessa, ma a volume più alto. Le bastonate fiscali arrivano puntuali, mentre chi evade continua a brindare.
Siamo davanti a un paradosso politico e morale: un governo minoritario nel Paese reale, che governa come se avesse un mandato plebiscitario, e che nel frattempo riesce nell’impresa di scontentare quasi tutti, tranne una categoria ben precisa. Gli evasori. Quelli veri. Quelli strutturali. Quelli che non hanno mai smesso di esserlo.
A pagare sono i pensionati, colpiti direttamente o indirettamente da scelte che erodono il potere d’acquisto. Pagano i lavoratori dipendenti, che le tasse le vedono già trattenute alla fonte, senza possibilità di fuga né di acrobazie contabili. Pagano le partite IVA oneste, che non hanno santi in paradiso e si sentono doppiamente beffate: dallo Stato e dai colleghi furbi.
E mentre si stringono i cordoni della borsa per chi non può scappare, si moltiplicano condoni, ravvedimenti, pacche sulle spalle a chi per anni ha fatto il gioco delle tre carte con il fisco. Il messaggio è chiarissimo: se sei onesto, sei un fesso; se evadi, prima o poi qualcuno ti capirà.
Il mantra resta sempre lo stesso: “meno tasse”. Ma la traduzione è imbarazzante nella sua semplicità: meno tasse per alcuni, più tasse per tutti gli altri. Altro che equità. Altro che giustizia fiscale. Qui si premia il comportamento scorretto e si punisce chi tiene in piedi il sistema.
Il punto non è solo economico, è politico. E perfino etico. Perché quando uno Stato smette di chiedere sacrifici equamente distribuiti, smette anche di essere credibile. E quando la credibilità evapora, resta solo il cinismo. Quello che porta la gente a dire: “Perché dovrei pagare, se tanto pagano sempre gli stessi?”.
Questo governo non sta solo sbagliando politiche fiscali. Sta rompendo un patto. Quello implicito tra cittadini e istituzioni. Un patto fatto di fiducia, di regole condivise, di responsabilità reciproca. E quando quel patto salta, non c’è slogan che tenga.
Traditi e presi in giro, appunto. Non per caso. Ma per scelta. E il rischio più grande non è nemmeno la prossima tassa. È l’abitudine alla presa in giro. Perché quando diventa normale, allora sì che il Paese è davvero impiccato.
Traditi e presi in giro
Il y a une sensation qui traverse le pays comme un impôt clandestin : celle d’avoir été trahis et pris pour des imbéciles. Et elle ne concerne pas seulement ceux qui ont voté pour ce gouvernement, la main sur le cœur et la promesse plein les yeux. Elle concerne aussi ceux qui ne l’ont pas voté, ceux qui doutaient, ceux qui avaient flairé l’arnaque. Au final, la facture est la même pour tout le monde. Et elle arrive toujours chez les mêmes.
Pendant la campagne électorale, c’était le carnaval des promesses : moins d’impôts, plus d’équité, chasse aux fraudeurs, protection des travailleurs, respect pour les retraités. Une belle fable patriotique. Puis le rideau est tombé. Et derrière, le décor habituel : des coups de matraque fiscale pour les honnêtes gens, des coupes de champagne pour les fraudeurs.
Nous sommes gouvernés par un pouvoir minoritaire dans le pays réel, mais qui agit comme s’il avait reçu un mandat divin. Un gouvernement qui réussit l’exploit de faire payer tout le monde — sauf ceux qui, depuis toujours, vivent aux crochets du système.
Les retraités trinquent, grignotés par l’inflation et les choix budgétaires. Les salariés trinquent, pressurés à la source, sans échappatoire ni tour de passe-passe comptable. Les indépendants honnêtes trinquent aussi, doublement punis : par l’État et par leurs collègues tricheurs.
Pendant ce temps, on distribue amnisties, régularisations, caresses fiscales à ceux qui ont fait de la fraude un sport national. Le message est limpide : si tu respectes les règles, tu es un pigeon ; si tu triches, l’État finira par te comprendre.
Le slogan reste le même : « moins d’impôts ». Traduction simultanée : moins d’impôts pour quelques-uns, plus pour tous les autres. L’équité est morte, enterrée sans fleurs. La justice fiscale est devenue une blague de mauvais goût.
Le problème n’est pas seulement économique. Il est politique. Et moral. Quand un État cesse de demander des sacrifices équitables, il perd toute crédibilité. Et quand la crédibilité disparaît, le cynisme prend le pouvoir. Celui qui pousse les citoyens à se dire : « Pourquoi payer, si seuls les idiots le font ? »
Ce gouvernement ne se contente pas de se tromper. Il brise un pacte. Le pacte tacite entre l’État et ses citoyens. Celui fait de confiance, de règles communes, de responsabilités partagées. Quand ce pacte saute, il ne reste que la farce.
Trahis et pris pour des imbéciles, donc. Pas par erreur. Par choix. Et le danger n’est même pas la prochaine taxe. Le vrai danger, c’est de s’habituer à la trahison. Parce qu’à ce moment-là, le pays n’est plus seulement étranglé.
Il est consentant.





