La discussione consiliare sul Bon de Chauffage è l’ennesima dimostrazione di come la politica riesca a trasformare ogni tema serio in una lotta di posizione, più che in un’occasione per affrontare davvero il problema.
Da una parte la Lega, che presenta la richiesta di reintrodurre il Bon de Chauffage; dall’altra le opposizioni, che lo bocciano con la stessa rapidità con cui si scarta un volantino pubblicitario infilato nella buca delle lettere. Personalmente, sarei felice di sapere quali siano le motivazioni, visto che questo bonus esisteva.
Eppure, al netto dei fervori di bandiera, la domanda resta sospesa nell’aria come il calore dei termosifoni accesi:
si decide sulla base di dati e analisi, o solo per partito preso?
Perché il punto non è il bonus in sé. Anzi, per chi fatica a pagare le bollette, un aiuto è sempre benvenuto. Il problema è che continuiamo a mettere toppe su un tessuto che ormai è diventato un centrino della nonna: pieno di buchi, fragile e soprattutto incapace di risolvere in modo definitivo il problema.
Tutti questi bonus — per il gas, per l’elettricità, per il riscaldamento — nascono da un’unica radice: la povertà crescente.
Gli stipendi si assottigliano, il costo della vita lievita e i cittadini fanno miracoli quotidiani che neanche i santi del calendario riuscirebbero a replicare.
E allora, se da una parte la proposta della Lega può anche essere lodevole, dall’altra resta la domanda che nessuno sembra voler affrontare:
perché continuiamo a inseguire l’emergenza invece di costruire una soluzione stabile?
Dare soldi a fondo perso è come riempire un secchio bucato: gesto nobile, risultato nullo. Molto più sensato sarebbe ridurre i costi strutturali, non abbassare le bollette a posteriori.
Perché se una famiglia spende 1.500 euro l’anno per scaldarsi e, con un cappotto termico ben fatto, ne spenderebbe 300, il problema si risolve alla radice. Una volta per tutte.
Il tanto criticato Superbonus 110% — con tutti i suoi difetti, errori e storture — aveva almeno un merito: provava a intervenire sulla causa, non sull’effetto.
Era un tentativo di visione, parola che oggi sembra quasi rivoluzionaria.
Quello che manca alla politica, maggioranza e opposizione insieme, è proprio questo: una visione d’insieme.
Si litiga per appartenenza, non per soluzioni. Si discute per vincere, non per capire.
E il cittadino, alla fine, si ritrova a scegliere tra destra e sinistra come si sceglie tra due medicine con gli stessi effetti collaterali: sperando nella meno peggio o rinunciando del tutto.
E così, mentre il Consiglio si accapiglia, molti finiscono per affidarsi al buon Dio, sperando che prima o poi metta una mano Lui, visto che chi dovrebbe farlo sembra avere entrambe le mani occupate: una per puntare il dito, l’altra per cercare consensi.





