C’è la proclamazione ufficiale della Cgil: sciopero generale di 24 ore il 12 dicembre 2025, con la Filt che dettaglia, come da liturgia, orari e modalità nel trasporto pubblico locale.
E poi c’è l’altra faccia della medaglia: il Savt che mette il piede sul freno, guarda la manovra 2026, pesa luci e ombre, e dice chiaramente che questa volta no, questa volta la strada non è la piazza ma il confronto. E qui parte tutta la contraddizione che il mondo sindacale continua a ignorare da anni.
Il comunicato della Filt-Cgil è quello di sempre:
– adesione piena allo sciopero generale,
– articolazioni per gli autisti dell’autolinee,
– fasce di garanzia rispettate,
– personale di mobilità fermo dalle 8 alle 12 e dalle 15 a fine turno,
– servizio sostitutivo FS bloccato nella fascia del mattino.

Wilma Gaillard, segretaria Cgil VdA
Tutto regolare, tutto “di prassi”. Come se il problema fosse compilare un orario e non analizzare un Paese.
Il Savt lo dice senza mezzi termini: gli scioperi non servono più a nulla se li fai da solo, se ogni settimana una sigla tira giù la serranda per marcare territorio, se l’autunno caldo è diventato una stagione sindacale come il festival di Sanremo.
La loro analisi è chirurgica: la manovra ha sì qualche elemento positivo (detassazioni parziali, qualche misura sul reddito),
ma ha anche vuoti enormi su sanità, scuola, contratti pubblici, pensionati e redditi medio-bassi che non vedranno un euro di beneficio.
E fin qui, nulla da obiettare. Il punto arriva dopo: scioperi frammentati = scioperi inutili.
La gente non partecipa, si irrita, si sente ostaggio. E quando un lavoratore vede lo sciopero come un fastidio, e non come la sua arma, il sindacato ha perso. Punto.
Come se non bastasse, CISL e UIL hanno già preso la loro strada: niente adesione, avanti con il “dialogo istituzionale”.
Così lo sciopero si ritrova monco ancora prima di cominciare.
Risultato? Una giornata di mobilitazione che si preannuncia più simbolica che efficace.
Questo è il nodo che nessuno vuole guardare in faccia: i lavoratori sono gli stessi che devono affrontare i disagi che gli scioperi – sacrosanti nelle motivazioni – creano. Trasporti rallentati, scuole in difficoltà, sanità al limite. È un cane che si morde la coda. E i sindacati continuano a correre in tondo.
Il Savt, che pure non risparmia critiche alla manovra, lo dice chiaramente: o si torna alla mobilitazione unitaria, forte, condivisa, o ogni sciopero sarà un colpo a salve. E nonostante la diplomazia della formula, il messaggio è feroce:
lo sciopero del 12 dicembre “non restituisce dignità e credibilità alle lotte sindacali”.
Tradotto: così, non serve a niente. E allora che cosa resta? Da una parte la Cgil che prova a guidare la carica da sola.
Dall’altra il Savt che dice “fermi tutti” e chiede unità. In mezzo Cisl e Uil che hanno già scelto la via del confronto istituzionale.
Sul fondo, i lavoratori che osservano tutto questo e si chiedono se qualcuno stia ancora parlando davvero per loro.
La verità è che oggi lo sciopero è diventato un gesto politico più che sindacale. Una bandiera, non uno strumento.
E quando succede questo, non è più il Governo a non avere paura dello sciopero. Sono gli stessi lavoratori a non crederci più.





