ATTUALITÀ - 06 dicembre 2025, 12:21

Da Gutenberg a Zuckerberg: Cronaca di una notizia

Ovvero: come abbiamo imparato a smettere di preoccuparci e ad amare lo scroll infinito

ph creata da IA

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Sembra strano, ma è così: da Gutenberg a Zuckerberg il passo è breve. Uno ha inventato la stampa, l'altro il modo per non leggerla più.

Adriano Celentano cantava: «Apro il giornale e leggo che». Ecco, lui una volta apriva il giornale. Noi oggi apriamo Facebook, Instagram o qualche altro giornale digitale. Virtuale no, dai: “digitale” suona più figo.

La carta stampata ha lasciato il posto alle notizie che volano sui cellulari, sui tablet, sui computer. E quando dico “volano”, intendo proprio volano via. Noi non leggiamo: voliamo da un titolo all'altro, senza cercare di capire. Non leggiamo: guardiamo.

Una volta, per scrivere un articolo ci voleva tempo, amore, pazienza. C'era il giornalista che recuperava le notizie – magari da un processo, una conferenza, un dibattito. Poi andava in redazione, buttava giù una bozza, poi c'era il correttore di bozze, poi la persona che impaginava, il linotipista, il tipografo. Finalmente si arrivava alla stampa e quel giornale viaggiava magari tutta la notte per arrivare in edicola.

E tu, quando posavi le lire sul bancone del giornalaio, prendevi quel giornale in mano quasi con ansia. A volte perché cercavi quella notizia, quella che ti diceva cosa ti aspettava domani. Pensiamo solo ai tempi di guerra, quando giornali e radio erano le uniche fonti per sapere cosa stava succedendo nel mondo.

Oggi no. Oggi il digitale vomita sulle sue pagine – e dico proprio vomita – parole a raffica. Non c'è più amore dietro un articolo. Oggi, addirittura, abbiamo queste forme di intelligenza artificiale: tu poni due domande e lei, o lui, ti sforna l'articolo. Non è un articolo vissuto: è un articolo assemblato, come un mobile Ikea.

C'è un’assuefazione totale alle notizie. Quanti di noi, aprendo anche un giornale locale, davanti alla notizia «Il gatto in corsia» sbuffano e passano oltre? Ci siamo assuefatti talmente tanto che anche le notizie di guerra, vicine a noi, scorrono come se niente fosse. Leggiamo di centinaia di civili uccisi sotto le bombe. Vediamo fotografie, video di ruspe che scavano fosse comuni. Ma nulla ferma la frenesia del nostro dito che detta il tempo per “guardare” un titolo, una mezza notizia. Il tempo scorre veloce come il nostro dito. Non siamo “pazzi e famelici”, come diceva Steve Jobs: siamo solo assuefatti.

Tutto questo ci passa davanti agli occhi e ci lascia quasi indifferenti. Il dito scivola sul display e passiamo a un'altra notizia. Uno scroll e ingurgitiamo titoli, a volte eclatanti, ma solo nel titolo: se leggi la notizia, non c'è nulla di quello che il titolo presagiva. E allora un vaffa mentale e passi oltre.

E se qualcuno prova ad andare oltre quelle parole o quelle immagini, se prova a commentare un articolo che ritiene interessante – magari sullo spopolamento dei piccoli comuni o sulla chiusura dei negozi in centro – viene aggredito immediatamente: magari nemmeno con un argomento, ma semplicemente con un simbolino modello geroglifico, o una cacca stilizzata, o una faccina vomitevole. Tutto qui: siamo tornati ai graffiti delle grotte. Non esiste più il dibattito, non esiste più il confronto. Come diceva Celentano “apro il giornale”, ma non trovo più l'anima, non trovo più il cuore, non trovo più l'essere umano.

Oggi tutto ci scivola addosso, ci lascia indifferenti. Chissà cosa direbbe il vecchio Gutenberg – l'inventore della stampa, colui che ci ha permesso di capire cosa ci stava attorno – nel vedere le notizie scomparire dai nostri cellulari così, come se nulla fosse.

Il cittadino di oggi, nel leggere le notizie, passa oltre mandando mentalmente a quel paese il malcapitato protagonista della storia. Poi torna a scrollare, perché sotto c'è il video di un gatto che suona il piano.

Morale della favola: Gutenberg ci ha dato la possibilità di leggere. Zuckerberg ci ha dato la possibilità di non capire cosa vediamo.
E noi, nel mezzo, ci consoliamo cantando mentalmente «Apro il giornale e leggo che di giusti al mondo non…» e il dito scorre sul display.

Vittore Lume-Rezoli

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