Quando la roulette del silenzio fa sempre lo stesso colore
La leggenda vuole che nella vita — come al tavolo verde — si alternino fortuna e sfortuna, bianco e nero. A quanto pare, al Casinò di Saint-Vincent la ruota gira da anni, ma il destino batte sempre sullo stesso colore. E questa volta non è uscito un semplice nero: è uscito doppio nero. Nuova inchiesta della Procura di Aosta, accuse di riciclaggio, soldi sporchi ripuliti tra una giocata e l'altra e — per completare il quadro — due impiegati che, secondo le carte giudiziarie, avrebbero fatto da spalla ai riciclatori. Non clienti ignari: professionisti del crimine che in Valle sembrano sentirsi a casa.
La domanda è semplice: perché ogni volta ci sorprende qualcosa che in realtà non stupisce più nessuno?
Da settimane si respira nell’aria un profilo basso, bassissimo, un silenzio vischioso che si attacca addosso: politici guardinghi, dirigenti guardinghi, ex dirigenti guardinghi. Tutti ad attendere cosa diranno i giudici, i giornali, i comunicati. Un intero ecosistema che sembra aver perso la voce o, più realisticamente, che teme che le parole possano scoprire ciò che si è sempre fatto finta di non vedere.
La retorica dell’eccezione — “una mela marcia”, “un fatto isolato”, “qualche anomalia” — non regge più. Perché a furia di mele marce, l’intero cesto sta fermentando. E non fermenta per caso: fermenta dove la vigilanza è tiepida, dove i controlli interni non mordono, dove la politica mette la firma ma non gli occhi.
Gli atti parlano chiaro: centinaia di migliaia di euro ripuliti come se fosse routine. Non la mano di un croupier distratto, ma un meccanismo preciso. E la notizia vera non è che due dipendenti siano finiti nell’inchiesta; la notizia vera è che per anni nessuno abbia bussato, domandato, sospettato. O, se l’ha fatto, non abbastanza.
Perché qui, diciamolo, l’indignazione funziona a intermittenza: si accende per 72 ore, poi si spegne alla prima sosta in autogrill verso Courmayeur. Ci si riallinea, ci si ricompatta, si mette una mano sulla spalla dell’istituzione e si ripete il mantra rassicurante: “tutto è sotto controllo”.
Sotto controllo? Davvero?
La roulette gira, il banco incassa, le responsabilità rimbalzano. Nel frattempo, l’immagine della Valle d’Aosta — terra di cultura, montagne, storia — viene legata all’ennesima lavatrice della criminalità finanziaria, e con un’eco nazionale. Ancora. Come se un logo invisibile fosse impresso sulle Alpi: “Riciclaggio d’alta quota”.
E oggi, con l’ennesima indagine, la sensazione non è quella di una ferita improvvisa: è quella di una cicatrice che si riapre perché non è mai stata curata davvero.
Doppio nero, sì.
E chi gioca — o finge di non giocare — dovrebbe ricordare che quando il nero esce troppe volte, anche i meno attenti capiscono che la ruota non gira come dovrebbe.
E allora il profilo basso non basta più. Il silenzio non basta più.
Perché il rumore di fondo del malaffare, anche quando lo ignoriamo, continua a suonare.
E guarda caso, è sempre la stessa nota. Sempre lo stesso colore. Sempre — inevitabilmente — nero.
Nero e Nero
Quand le Casino tourne au blanchissage et que tout le monde s’essuie les mains
Dans la nouvelle série “Lessive & Roulette”, on aurait pu espérer un peu de blanc – même cassé, même sale. Raté. La boule est tombée sur noir. Et sur noir encore. Le double noir : celui du fric douteux et celui des regards à terre. À Saint-Vincent, ça ne sent plus le parfum cher du luxe d’antan, ça sent la machine à laver industrielle où l’on met les liasses sans passer par la case tiroir-caisse. Et si tu demandes qui appuie sur “essorage”, c’est silence radio : les murs ont des oreilles, mais une bouche cousue.
Dans le scénario valdôtain, on ne parle pas de grands gangsters avec col en soie et voitures qui brillent. Non, on parle de deux employés du Casino, qui auraient troqué le badge du service pour un petit job complémentaire : changeurs officiels de billets suspects. Pour certains, c’est un métier. Pour d’autres, c’est une retraite dorée. Pour les juges, c’est un dossier. Pour la morale, c’est un naufrage.
Ce n’est plus un établissement de jeu, c’est un péage sur l’autoroute du recyclage. Tu donnes, on change, tu signes, on oublie. Et surtout, on se tait. Dans les couloirs, ça glisse comme une chute de neige humide : “On ne savait pas”, “On ne comprend pas”, “Ce n’est pas nous”. Version officielle : profil bas. Version officieuse : tête dans le sable, portefeuille ouvert.
Le vrai problème, c’est que dans la vallée, on est devenus des experts du poker menteur. Sauf que tout le monde bluffe, mais personne ne gagne. Les citoyens regardent. Les institutions commentent. Les syndicats toussent. Les dirigeants clignent des yeux. L’État prend des notes. Et le Casino continue d’accepter des billets qui ont déjà voyagé plus que les touristes en août.
Double noir, double aveuglement.
Saint-Vincent voulait briller à nouveau ?
C’est réussi : ça scintille comme une valise de billets sous un néon tremblant dans une arrière-salle où personne n’a jamais vu, jamais entendu, jamais su.
Et pendant que la justice compte, recompte, se repasse les bandes, les gens normaux — ceux qui ne recyclent que les bouteilles en plastique — se demandent si ce Casino est encore un symbole ou déjà un monument funéraire.
Dans tout ça, une seule certitude :
Au royaume de la roulette, mieux vaut miser sur le noir. De toute façon, le blanc, ici, ne sort jamais.





