ATTUALITÀ - 29 novembre 2025, 12:00

Sfida sui ghiacci: memorie di un ex bobista (quasi) pentito

Una spalata di neve fa riaffiorare i ricordi di una gioventù lanciata sul bob tra Cervinia, compagni di squadra leggendari, gare improbabili e un incidente che ha cambiato tutto. Oggi, tra nostalgia e mal di schiena, resta la voglia di ridere di sé

Sfida sui ghiacci: memorie di un ex bobista (quasi) pentito

L’altro giorno, mentre la neve cominciava a imbiancare il vialetto, mi sono imbacuccato nella giacca a vento, cappello in testa, e armato di pala ho iniziato a spalare. Niente a che vedere con la rabbia di tanti anni fa, quando dovevo fare tutto di corsa per andare al lavoro e ogni colpo di pala era accompagnato da un dialogo colorito con qualche santo del paradiso e con una o due signore Eva di facili costumi.

No, stavolta spalavo con calma. Quella calma che ti viene con l’età. E con il mal di schiena.

Guardando la striscia bianca davanti a me, mi sono fermato, con le mani e il mento appoggiati sul manico della pala, e ho lasciato liberi i ricordi. Tra un fiocco e l’altro, mi sono rivisto lì.

Leggermente piegato in avanti, le mani serrate sui manici del bob, lo muovevamo avanti e indietro perché i pattini non si attaccassero al ghiaccio. E poi quelle fatidiche parole, miste alle grida degli amici: “Uno, due, tre... via!”

Spingevi con tutte le forze per quella ventina di metri prima di saltare su, sederti, accovacciarti, poggiare il casco sulla schiena del compagno davanti. La pista non la vedevi: le prove ti avevano insegnato a contare mentalmente. Vedevi solo quel poco davanti a te, e contando sapevi quando sarebbe arrivata la curva azzurra, poi il rettilineo, poi la curva bianca. La pista scorreva nel cervello, memorizzata discesa dopo discesa.

Quel canalone che molti valdostani conoscono: la pista del Lago Blu di Cervinia. Erano tempi bellissimi. Mi rivedo lì, accanto ai fratelli Bonichon, ai fratelli Melotto, a Ceriano, Ferrarese, Franco Perruquet (che poi diventò campione olimpionico) e a tanti ragazzi della mia età che avevano fatto del bob qualcosa di più di uno sport. Era adrenalina pura: emozione, paura, e quella sensazione di forza che ti prende quando hai vent’anni.

Era magnifico ritrovarsi al mattino infreddoliti, salire sul camion che dalla base ti portava fino in cima, incoraggiare i compagni che partivano prima di te e aspettare il tuo turno.
E poi la sera finire in vari locali e birrerie, come all’Hotel Compagnoni o dal mitico Pippo, a bere e scherzare.

Furono gli anni dei campionati italiani, poi degli europei di bob a quattro. E, per non farmi mancare nulla — visto che in quello sport non c’erano molti atleti disposti a rischiare di rompersi l’osso del collo, né troppi formalismi — partecipai pure ai Mondiali delle Forze Armate.

Mi ritrovai a correre sul bob a due con un pilota dell’aviazione belga. Non vi dico le risate con i miei compagni, Paolo e Giorgio Melotto.

Alla prima discesa cominciai a chiedermi se fosse proprio necessario. Alla seconda capii che forse il pilota era più abituato a svolazzare tra le nuvole che non a sfrecciare su una pista da bob. Alla terza, non so come, mi ritrovai per aria: il genio aveva sbagliato una curva tra l’azzurra e la bianca e ci schiantammo contro il fianco della pista.

Mi tirarono fuori i soccorritori e finii in ospedale.

Prognosi dopo le radiografie: alcune costole incrinate, vari ematomi e rottura dell’osso sacro.

Forse fu quella visita medica — con un dottore grande e grosso che, usando il metodo della visita prostatica, mi “sistemò” il coccige — a convincermi che era meglio cambiare sport. Mi viene ancora da ridere pensando ai miei amici fuori dal pronto soccorso, quando spiegai che certi tipi di rotture non te li ingessano, ma ti fanno male lo stesso. Eccome.

Per anni non mi avvicinai più a una pista di bob. Anni dopo mi dedicai, goliardicamente, alle corse dei carretti: sicuramente meno veloci e meno pericolose. Lì conobbi altri campioni, come Lugon Millet e altri che si erano cimentati nello slittino.

Ma questa è un’altra storia, che magari racconterò alla prossima nevicata.

Nel frattempo, la pala mi aspetta. Con più calma di un tempo, ma sempre con lo stesso mal di schiena.

Vittore Lume-Rezoli

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