Oggi, mentre seguivo un’autointervista di Marco Camisani Calzolari – personaggio pubblico che ammiro per la sua capacità di spiegarci che sì, l’intelligenza artificiale ci ruberà il lavoro, ma almeno lo farà con eleganza – mi è venuto un pensiero scomodo.
Eccolo: e se il vero pericolo non fossero le macchine che pensano troppo, ma noi umani che pensiamo sempre meno?
Perché un tempo, proprio qui in Valle d’Aosta, tra queste montagne che sembrano messe lì apposta per far sentire piccoli, sono nati due giganti. Non di pietra come le statue nei parchi, ma di idee. Quelli veri, insomma. Quelli che ti guardano dai libri di storia e ti fanno sentire un po’ in imbarazzo mentre compili l’ennesimo modulo.
Sant’Anselmo d’Aosta: monaco dell’XI secolo con un progetto folle, dimostrare l’esistenza di Dio usando solo la logica. Niente miracoli, niente apparizioni divine, solo neuroni che friggono. Un ragionamento che ancora oggi fa sudare i filosofi nei convegni.
Oggi noi, invece, gridiamo al miracolo se arriva in orario un bonifico della Regione. Anselmo guardava all’eternità, noi al trimestre fiscale. Lui sfidava l’infinito, noi negoziamo coi fondi PNRR.
Émile Chanoux: avvocato, partigiano, visionario. Non si accontenta di fare cause e difendere eredità contestate. No, lui immagina un’Italia federale, autonoma, dove i popoli si rispettano davvero e non solo nelle cerimonie ufficiali. Lo arrestano, lo torturano, lo ammazzano. Ma la sua visione sopravvive: la Valle d’Aosta con uno Statuto speciale, un laboratorio di libertà.
Oggi quell’autonomia la riduciamo a interminabili discussioni su chi deve firmare quale modulo, quante firme ci vogliono e se la carta va in bollo da 16 o da 2 euro. Chanoux sognava un Paese nuovo, noi ci perdiamo tra scartoffie vecchie e timbri sbiaditi.
Due valdostani hanno visto più lontano di chiunque altro: uno con la logica pura, l’altro con il coraggio disperato.
E noi, oggi? Noi che facciamo?
Abbiamo trasformato il voto – quello che una volta chiamavano “dovere civico” – in un optional da weekend piovoso. Abbiamo ridotto la scuola a edifici che crollano e programmi che non reggono il confronto con YouTube. Abbiamo smarrito la capacità di guardare oltre il campanile, oltre il bilancio annuale, oltre il post del giorno che fa più like.
Anselmo e Chanoux ci osservano da lontano, probabilmente perplessi. Il primo con la sua ragione che sfidava l’eternità, il secondo con la sua libertà che sfidava la dittatura. E ci chiedono, con quella faccia tipica di chi ha capito tutto: “Davvero vi accontentate di vedere fino al prossimo consiglio comunale?”
La Valle d’Aosta ha generato pensatori che hanno guardato oltre le montagne, oltre i confini, oltre il buon senso stesso.
Noi sembriamo incapaci di guardare oltre il nostro ombelico – e anche quello, a essere onesti, lo guardiamo distrattamente, tra una notifica e l’altra.
La burocrazia è diventata la cataratta del pensiero.
L’autonomia? Un timbro sul modulo giusto.
La politica? Un teatrino dove si spostano sedie e si contano consensi, non idee.
Forse il vero compito della memoria è proprio questo: ricordarci che il pensiero e la libertà non sono mai provinciali, non si misurano in fondi europei o poltrone assessoriali. Sono universali, scomodi, pericolosi.
E che, se vogliamo essere degni anche solo delle scarpe di Anselmo e Chanoux, dobbiamo smettere di misurare il futuro con il metro corto della burocrazia e tornare a pensare in grande. O almeno provarci, tra un modulo e l’altro.





