Ironia della sorte: la mia vita è stata scandita dalle canzoni di Vasco Rossi.
Non per scelta, ma per assuefazione collettiva.
Negli anni ’80, se non volevi una vita spericolata, eri un alieno.
“Voglio una vita come Steve McQueen”, diceva lui.
Noi ci accontentavamo di una Fiat Uno e di una serata in discoteca, con le scarpe bianche e il gel effetto cemento.
I guai? C’erano. Ma li chiamavamo “esperienze”.
Bastavano due lire in tasca e ti sentivi il padrone del mondo.
Il lavoro non era un miraggio, era una certezza.
E se ti stufavi, cambiavi.
Nessuna agenzia interinale, nessun algoritmo che ti scartava perché non avevi fatto volontariato in Groenlandia.
La macchina? Te la compravi.
La serata con gli amici? Te la vivevi.
Il cellulare? Non serviva.
Fischiavi sotto casa e scendeva l’amico. O la fidanzata. O chi capitava.
Nessuna chat, nessuna emoji, solo vita vera.
E se serviva il latte, non doveva mandarti la mamma: ci andavi tu, con le gambe, senza GPS.
Oggi invece siamo qui.
Pieni di guai, dice Vasco.
E non sono quelli belli, quelli che ti fanno crescere.
Sono guai tossici, burocratici, esistenziali.
Il mondo è diventato un reality distopico: guerre che sembravano archiviate, razzismi che si credevano estinti, violenze che non fanno più scalpore.
E noi?
Noi che avevamo Notres montagnes e les Montagnards?
Oggi sembriamo una succursale di quell’Italia che ci faceva paura.
Quella delle bombe, delle stazioni esplose, delle verità mai dette.
La Valle d’Aosta, la nostra isola felice, si è italianizzata, romanizzata, burocratizzata.
Una volta bastava una stretta di mano sotto la Regione per sentirti ascoltato.
Oggi ti rispondono con frasi da manuale: “Non è così facile”, “Ci sono norme che mi impediscono”, “Roma decide”.
Ah, Roma: quel buco nero che risucchia tutto, anche la dignità.
La politica?
Un tempo era fatta di volti, di storie, di fontina condivisa alla bataille des Reines.
Oggi è fatta di Excel, di comunicati stampa, di distanze siderali.
Eppure respirano la nostra stessa aria. O almeno così dicono.
Ma come fanno a non accorgersi che i cittadini sono in apnea?
Forse hanno il naso tappato.
O forse, più semplicemente, hanno smesso di ascoltare.
E noi?
Siamo ancora qui. Ma non sappiamo più perché.





