Caro direttore,
ho letto con interesse — ma anche con una certa perplessità — la notizia della proposta di legge di Lega Vallée d’Aoste e Renaissance Valdôtaine sulla libera professione per gli operatori sanitari. Un testo che, nelle intenzioni, mira a “valorizzare l’autonomia” e “rafforzare l’assistenza sul territorio”. Parole nobili, certo. Ma che suonano curiose se pronunciate in una regione che da anni fatica a garantire perfino i servizi essenziali, tra carenze di personale, liste d’attesa infinite e reparti sotto pressione.
Si parla di “flessibilità” e “libertà professionale”, come se la priorità fosse dare più spazio all’attività privata piuttosto che risolvere i problemi del servizio pubblico. Eppure, la sanità valdostana non manca di libertà: manca di risorse, di pianificazione, di una vera politica del personale capace di motivare e trattenere i professionisti. Autorizzare nuove forme di attività libero-professionale rischia di trasformarsi in una scorciatoia per coprire le inefficienze strutturali del sistema, e non in una risposta concreta ai bisogni dei cittadini.
Il comunicato parla di “rafforzare il pubblico con il contributo di chi lavora sul campo”. Ma se quel “contributo” finisce per spostarsi verso il privato, chi garantirà che il cittadino più fragile, quello che non può permettersi di pagare, resti al centro del sistema? Forse sarebbe più utile discutere di come rendere più attrattiva la nostra sanità regionale, di come potenziare i servizi territoriali, o semplicemente di come far funzionare meglio ciò che già esiste.
La Valle d’Aosta ha bisogno di un servizio sanitario pubblico efficiente, non di una moltiplicazione delle partite IVA in camice bianco.
Cordiali saluti,
Lettera firmata
Gentile Lettrice,
la sua riflessione coglie perfettamente il nodo centrale della questione. Anche chi guarda con favore all’autonomia professionale non può ignorare il rischio di uno scivolamento verso una “sanità a due velocità”, dove il diritto alla cura dipende più dalla disponibilità economica che dal bisogno reale.
È giusto valorizzare le competenze e permettere agli operatori di crescere, ma ciò non può avvenire a scapito del servizio pubblico, che in Valle d’Aosta rappresenta ancora — e deve continuare a rappresentare — il presidio essenziale di equità e universalità. Parlare di “flessibilità” e “sinergia con il territorio” suona bene, ma prima di aprire nuovi spazi alla libera professione, bisognerebbe affrontare i problemi che già oggi minano l’efficienza del sistema: organici insufficienti, medici che vanno via, infermieri allo stremo, e una burocrazia che rallenta ogni cosa.
Condivido dunque la sua preoccupazione: più che una legge per moltiplicare le opportunità individuali, servirebbe un progetto complessivo per ricostruire fiducia e stabilità nella sanità valdostana. Senza una visione pubblica forte, anche le migliori intenzioni rischiano di trasformarsi in nuovi squilibri. pi.mi.





