Tiziana Campisi – VN
Di fronte alle “sfide odierne da affrontare” e ai “cambiamenti repentini” che “provocano e interrogano, suscitando problematiche finora inedite”, è possibile “rispondere alle esigenze della vocazione ricevuta solo mettendo Cristo al centro della nostra esistenza e della nostra missione”.
Nella chiesa di Sant’Anselmo, nel quartiere Aventino di Roma, Leone XIV, che nel pomeriggio di oggi, 11 novembre, presiede la Messa per il 125° anniversario della dedicazione, invita i fedeli a fare di Gesù il perno della propria vita, traducendo “quell’atto di fede” con il quale lo si riconosce come Salvatore “nella preghiera, nello studio, nell’impegno di una vita santa”.
È una liturgia solenne, animata dal canto gregoriano, quella celebrata dal Pontefice nel luogo di culto fortemente voluto da Papa Leone XIII, “che ne promosse la costruzione”, consacrato l’11 novembre 1900 a coronamento dell’istituzione dell’Ateneo internazionale Sant’Anselmo nel 1887 e della nascita della Confederazione Benedettina il 19 aprile 1893, dopo l’invito rivolto dallo stesso Papa Pecci a diverse congregazioni benedettine a riunirsi.
Leone XIV fa il suo ingresso nella chiesa, dove per la prima volta è esposto il reliquiario di luce dedicato a Santa Ildegarda di Bingen, insieme al cardinale titolare Lorenzo Baldisseri, al rettore padre Sebastian Edavazhickal Paul, all’abate primate e abate di Sant’Anselmo Jeremias Schröder, e ad altri religiosi benedettini.
Attraversa la navata centrale aspergendo i fedeli con l’acqua benedetta, poi si ferma a pregare all’altare del Santissimo Sacramento, in fondo alla navata destra, dove è rappresentata la scena del Golgota con Cristo Crocifisso, Maria e Giovanni.
Nella sua omelia, Leone XIV ricorda che, nelle intenzioni del suo predecessore, l’edificazione della chiesa “assieme a quella del Collegio internazionale annesso, doveva contribuire a un potenziamento della presenza benedettina nel popolo di Dio e nel mondo”, “convinto che l’Ordine di San Benedetto e i suoi monaci potessero essere di grande aiuto al bene dei fedeli in un momento ricco di sfide, come fu il passaggio dal XIX al XX secolo”.
Papa Leone, a tal proposito, si sofferma sulle caratteristiche del monachesimo, fin dalle sue origini “una realtà di frontiera, che ha spinto uomini e donne coraggiosi a impiantare focolai di preghiera, lavoro e carità nei posti più remoti e impervi”, spesso trasformati “in terreni fertili e ricchi dal punto di vista agricolo ed economico, ma soprattutto spirituale”.
I monasteri, aggiunge, si sono contraddistinti come luoghi “di crescita, di pace, di ospitalità e di unità, anche nei periodi più bui della storia”.
E menziona tutto ciò che si svolge a Sant’Anselmo come servizio alla Chiesa: “nella liturgia, prima di tutto, poi nella Lectio divina, nella ricerca, nella cura pastorale, con il coinvolgimento di monaci venuti da ogni parte del mondo e con l’apertura a chierici, religiosi, religiose e laici delle più diverse provenienze e condizioni”.
Il monastero, l’Ateneo, l’Istituto Liturgico e le attività pastorali legate alla chiesa — conformemente agli insegnamenti di San Benedetto — devono crescere sempre più in sinergia, come un’autentica “scuola del servizio del Signore”.
“Per questo — prosegue il Papa — ho pensato al complesso in cui ci troviamo come a una realtà che deve ambire a diventare un cuore pulsante nel grande corpo del mondo benedettino, con al centro, secondo gli insegnamenti di San Benedetto, la chiesa.”
L’auspicio del Papa è che “nell’alveare operoso di Sant’Anselmo” la chiesa sia “il luogo da cui tutto parte e a cui tutto ritorna, per trovare verifica, conferma e approfondimento davanti a Dio”.
A corollario, Leone richiama le parole di San Giovanni Paolo II, pronunciate durante la visita al Pontificio Ateneo il 1° giugno 1986, in occasione del centenario di fondazione, riguardo a Sant’Anselmo, il quale “ricorda a tutti […] che la conoscenza dei misteri divini non è tanto conquista del genio umano, quanto piuttosto dono che Dio fa agli umili e ai credenti”.
Un “messaggio profetico” che il Pontefice si augura possa giungere dall’Aventino “alla Chiesa e al mondo, come compimento della missione del popolo di Dio di proclamare le opere dell’Onnipotente”.
La Dedicazione, ricorda Leone XIV, “è il momento solenne della storia di un edificio sacro in cui lo si consacra a essere luogo di incontro tra spazio e tempo, tra finito e infinito, tra l’uomo e Dio: porta aperta verso l’eterno, in cui trova risposta per l’anima la tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande […] che ci apre al futuro come causa finale che attrae nell’incontro tra pienezza e limite, che accompagna il nostro cammino terreno”.
Il Pontefice richiama anche la Sacrosanctum Concilium per spiegare la natura della Chiesa, definita dal documento conciliare “umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; in modo tale, però, che quanto vi è di umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati”.
“Tutto ciò — conclude Leone XIV — non è altro che l’esperienza di ogni uomo e donna, alla ricerca di senso, bisognosi di Gesù, il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Lui siamo chiamati a cercare e a Lui siamo chiamati a portare tutti coloro che incontriamo, grati per i doni che ci ha elargito, e soprattutto per l’amore con cui ci ha preceduti.”





