ECONOMIA - 07 novembre 2025, 19:47

Separazione delle carriere sì, equo compenso no

Nordio pensa ai magistrati, ma ignora i giornalisti che da due anni aspettano giustizia. Il Consiglio nazionale dell’Ordine approva all’unanimità un documento di protesta contro il Ministero della Giustizia, accusato di immobilismo e disinteresse verso una categoria sempre più sfruttata

Il ministro Nordio

Il ministro Nordio

Mentre il ministro Carlo Nordio è impegnato a disegnare la “nuova geografia” della magistratura, con la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, i giornalisti italiani restano senza un diritto elementare: l’equo compenso.
Sono passati ventiquattro mesi dall’approvazione della delibera del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (Cnog), ma il Ministero della Giustizia non ha ancora dato seguito al provvedimento che dovrebbe rendere effettiva la legge n. 49 del 2023.

Una legge, ricordiamolo, voluta dal governo Meloni e salutata come una “svolta storica” per i professionisti, ma rimasta lettera morta per chi vive di informazione.
I parametri stabiliti dal Cnog il 12 dicembre 2023 – in piena coerenza con la norma – definivano in modo chiaro cosa significhi “equo”: un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione, e in linea con i criteri previsti per tutte le professioni ordinistiche.

Eppure, da allora, nessuna firma, nessuna circolare, nessuna applicazione.
Le rassicurazioni della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni – prima durante l’incontro con la stampa del 9 gennaio 2025, poi con un nuovo impegno pubblico sul quotidiano il Domani il 15 settembre – sono rimaste promesse vuote.

Il risultato? Una categoria ancora una volta discriminata e dimenticata, costretta a lavorare per pochi euro ad articolo o a rassegnarsi al precariato cronico, mentre il ministro Nordio discetta di “riforme epocali” in difesa della giustizia.
Giustizia, però, per chi?

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, riunito a Roma il 4 e 5 novembre, ha approvato all’unanimità un documento di protesta contro l’inerzia del Ministero della Giustizia e ha annunciato l’intenzione di intraprendere tutte le iniziative necessarie per ottenere l’attuazione dell’equo compenso.

Perché non può esserci libertà di stampa senza dignità professionale.
E un ministro della Giustizia che non riconosce il diritto a un compenso equo a chi la giustizia la racconta ogni giorno, ha già perso la sua battaglia morale prima ancora di combatterla.

pi.red.

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