FEDE E RELIGIONI - 21 ottobre 2025, 08:00

Parolin: la libertà religiosa, fondamento fragile della civiltà umana

Presentando il Rapporto 2025 di Aiuto alla Chiesa che Soffre, il cardinale segretario di Stato richiama governi e istituzioni a difendere il diritto di ogni persona a credere e a cercare la verità. Oggi due terzi dell’umanità vivono in Paesi dove la libertà di fede è negata.

Parolin: la libertà religiosa, fondamento fragile della civiltà umana

La libertà religiosa non è un privilegio né una concessione politica, ma un diritto essenziale e inalienabile che fonda la dignità stessa dell’essere umano. È il messaggio forte e lucido che il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha consegnato al mondo nel corso della presentazione del Rapporto 2025 sulla libertà religiosa nel mondo, realizzato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), presso il Pontificio Istituto Patristico Augustinianum.

Senza la libertà religiosa, il tessuto etico della società inevitabilmente si sfilaccia, portando a cicli di sottomissione e conflitto” – ha ammonito il cardinale – ricordando che questo diritto non appartiene solo ai credenti, ma all’intera società civile, perché “la libertà di fede è la pietra angolare dell’edificio dei diritti umani contemporanei”.

Il Rapporto 2025, giunto alla sua venticinquesima edizione, offre un quadro drammatico: in 62 Paesi su 196 la libertà religiosa è gravemente limitata, coinvolgendo circa 5 miliardi e 400 milioni di persone. In altri termini, quasi due terzi della popolazione mondiale vivono sotto regimi o sistemi che vietano, limitano o manipolano la fede. “Un segnale allarmante – ha detto Parolin – che mostra come la persecuzione religiosa non sia un residuo del passato, ma una ferita aperta della modernità.”

Nel suo intervento, il cardinale ha intrecciato la visione cristiana e quella laica dei diritti umani, citando due testi fondativi: la Dignitatis humanae, dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa (di cui ricorre il 60° anniversario), e l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.
Entrambi, ha spiegato Parolin, “affermano che la libertà di coscienza e di religione è un diritto che appartiene a ogni uomo e donna, non per concessione dello Stato ma per dignità naturale”.

Ha poi ricordato le parole di Paolo VI, pronunciate nel 1965: “Cristo invita alla fede ma non costringe, non toglie la libertà fisica dell’uomo, che deve decidere da sé del suo destino davanti a Dio”. Un principio che resta la chiave di ogni autentica convivenza civile: “Nemo impediatur, nemo cogatur — nessuno sia impedito, nessuno sia costretto.”

Parolin ha ribadito che la libertà di religione, come ogni libertà, ha bisogno di “confini pratici tracciati dalla prudenza politica”. Non per restringerla, ma per garantirne l’uso corretto:

proteggere i diritti dei cittadini, evitando che la fede diventi strumento di sopraffazione;

coltivare la pace pubblica, perché la vera armonia nasce da una libertà ordinata e rispettosa;

difendere la moralità pubblica, contrastando derive violente o manipolazioni religiose.

Dignitatis humanae tesse un arazzo di libertà temperato dalla responsabilità” – ha osservato il porporato – “e invita le società moderne a costruire ponti, non muri, nella ricerca comune della verità.”

L’articolo 18 della Dichiarazione dei diritti umani, ha ricordato Parolin, è “la controparte laica della Dignitatis humanae”, nata come risposta all’orrore dei totalitarismi e dell’Olocausto. Ma oggi, ha aggiunto con amarezza, “questo diritto è sistematicamente violato in troppe regioni del mondo”, mentre l’indifferenza politica e diplomatica cresce.

La libertà religiosa, dunque, resta un baluardo fragile ma essenziale: non solo un tema di fede, ma un indice della civiltà di un popolo.
Quando una società non difende il diritto di credere, rinuncia a difendere anche la propria umanità.”

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