FEDE E RELIGIONI - 14 ottobre 2025, 08:00

Il Papa: la vera autorità non si fonda su incarichi e titoli ma sul servizio

l Pontefice riceve nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico i partecipanti all'Incontro di Studi dedicato al cardinale Merry del Val, servo di Dio, che ha avuto diversi incarichi nell’ambito della diplomazia vaticana ed è stato scelto da Pio X come segretario di Stato. Il suo esempio insegna che “chi serve nella Chiesa non fa sì che prevalga la sua voce, ma che a parlare sia la verità di Cristo”

Il Papa: la vera autorità non si fonda su incarichi e titoli ma sul servizio

Tiziana Campisi – VN

Un “vero diplomatico dell’incontro”. Leone XIV definisce così Rafael Merry del Val, servo di Dio, vissuto tra l’Ottocento e il Novecento e che da giovanissimo ha intrapreso la carriera diplomatica, “chiamato al servizio di Leone XIII per trattare questioni delicate” e poi, nel 1903, creato cardinale all’età di 38 anni da Pio X, che “lo scelse come suo segretario di Stato”. Ricevendo in udienza stamani, 13 ottobre, i partecipanti all'Incontro di Studi dedicato al porporato, il Papa ne riassume i tratti parlando in spagnolo ed evidenzia che “la sua giovane età” non è stata “un ostacolo” alle mansioni affidategli, “perché la storia della Chiesa insegna che la vera maturità non dipende dagli anni, ma dall’identificazione con la misura della pienezza di Cristo”.

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Merry del Val non è stato “solo un diplomatico da scrivania”, sottolinea Leone XIV, ma anche un pastore vicino alla gente, che lo considerava pure “padre e amico”. “A Roma fu molto presente tra i bambini e i giovani di Trastevere, che catechizzava, confessava e accompagnava con affetto”, racconta il Pontefice, che poi prende spunto dalle Litanie dell’Umiltà da lui composte, dove “traspare lo spirito con cui svolse il suo servizio”, per soffermarsi su quelle che “delineano un modello valido per tutti coloro che esercitano responsabilità nella Chiesa e nel mondo e, in modo particolare, per i diplomatici della Santa Sede”.

“Del desiderio di essere lodato… Liberami, Signore!”. Il desiderio di riconoscimento è una tentazione costante per chi esercita responsabilità. Il cardinale Merry del Val lo conobbe da vicino, poiché le sue nomine lo posero al centro dell’attenzione mondiale. Eppure nel profondo della sua preghiera chiedeva di essere liberato dall’applauso. Sapeva che l’unico trionfo vero è poter dire ogni giorno: “Signore, sono dove Tu vuoi, facendo quello che Tu mi affidi, oggi”. Questa fedeltà silenziosa, invisibile agli occhi del mondo, è quella che rimane e reca frutto.

La litania “Dal desiderio di essere consultato…. liberami, Signore!”, rievoca gli importanti incarichi ricevuti da Merry del Val, che “avrebbe potuto credersi indispensabile”, osserva il Pontefice. E invece da lui si apprende che “il ruolo del diplomatico” è “far sì che la volontà di Dio si compia attraverso il ministero di Pietro, al di là degli interessi personali”.

Chi serve nella Chiesa non cerca di far sì che prevalga la sua voce, ma che a parlare sia la verità di Cristo. E in quella rinuncia scoprì la libertà dell’autentico servo.

Quando dopo la morte di Pio X il cardinale ebbe altri incarichi, “si sforzò di continuare a servire” fedelmente la Santa Sede, “con la serenità di chi sa che ogni servizio nella Chiesa è prezioso quando si vive per Cristo”, e ciò ha mostrato che il suo era “cammino di dedizione”.

La vera autorità non si fonda su incarichi né titoli, ma sulla libertà di servire anche lontano dai riflettori. E chi non teme di perdere visibilità, guadagna disponibilità verso Dio.

E “cercò di vivere la sua missione con fedeltà al Vangelo e libertà di spirito”, aggiunge il Papa, specificando che Merry del Val non si lasciò “guidare dal desiderio di piacere, bensì dalla verità sorretta sempre dalla carità”.

La fecondità della vita cristiana non dipende dall’approvazione umana, ma dalla perseveranza di chi, unito a Cristo come il tralcio alla vite, porta frutto a suo tempo.

Nel suo discorso Leone XIV ricorda anche le origini del porporato, che nato a Londra il 10 ottobre 1865, “con un padre diplomatico spagnolo e una madre di lingua inglese, ebbe un’infanzia cosmopolita” e “crebbe respirando l’universalità, che in seguito avrebbe saputo riconoscere come vocazione della Chiesa”. Tutto questo “lo preparò a essere docile strumento al servizio diplomatico della Santa Sede in un tempo segnato da grandi sfide”. Studente nell’“attuale Pontificia Accademia Ecclesiastica”, poi da lui presieduta, “lì comprese - e trasmise con il suo esempio - che la diplomazia della Chiesa fiorisce quando si vive nella fedeltà sacerdotale”.

Per riassumere l’esistenza di Merry del Val il Pontefice ricorre, infine, al suo motto episcopale, “Da mihi animas, cetera tolle”, “Dammi le anime, prendi il resto”, che volle come “unica iscrizione sulla sua tomba, che oggi si trova nelle cripte di San Pietro” e alla supplica conclusiva delle Litanie dell’umiltà, “Che gli altri possano essere più santi di me, purché io divenga santo in quanto posso”.

Qui viene messo in risalto un tesoro della vita cristiana: la santità non si misura con il confronto, ma con la comunione. Il cardinale comprese che dobbiamo adoperarci per la nostra santità mentre promuoviamo quella degli altri, camminando insieme verso Cristo (cfr. 1 Ts 3,12-13). È questa la logica del Vangelo e deve essere anche quella della diplomazia pontificia: l’unità e la comunione, sapendo che ognuno è chiamato a essere santo in quanto può.

E per concludere, il Papa invoca la Vergine Maria, “che Rafael Merry del Val amò con tenerezza filiale”, perché insegni alle famiglie, “ai diplomatici della Santa Sede, e a tutti coloro che svolgono un servizio nella Chiesa, a unire verità e carità, prudenza e audacia, servizio e umiltà”, affinché “in tutto risplenda solo Cristo”.

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