C’è qualcosa di profondamente valdostano in questa vittoria per soli quindici voti.
Non l’urlo, ma il sospiro. Non la valanga, ma la neve che si posa lenta e compatta. Raffaele Rocco, ingegnere, 63 anni, uomo di esperienza più che di slogan, sarà il nuovo sindaco di Aosta. Con lui, la vicesindaca Valeria Fadda. Dietro, una coalizione ampia, autonoma e progressista: Union Valdôtaine, Stella Alpina, Rassemblement Valdôtain, Pour l’autonomie, Pd, Avs, Rev e Valle d’Aosta Aperta. Dall’altra parte, Giovanni Girardini e il centrodestra unito, rimasti indietro di un soffio, 6.420 a 6.405.
Una differenza che basta appena per dire “abbiamo vinto”, ma che contiene tutto il peso di una città divisa, che però alla fine ha scelto la continuità dell’autonomia.
L’affluenza, ferma al 45,7%, conferma una disaffezione ormai cronica. Eppure, chi è andato a votare ha deciso di non consegnare Aosta al vento delle destre. È un segnale politico che parla chiaro anche al di là del Municipio: dopo la conferma della maggioranza autonomista alle regionali, la città rafforza il fronte valdostanista-progressista, tracciando una linea di coerenza e identità.
Non è poco, in tempi di slogan vuoti e di confini politici sfumati.
Rocco eredita una città difficile, ma anche un mandato simbolico. Dovrà amministrare, certo, ma prima di tutto dovrà ricucire. Il 50,06% non è una marcia trionfale: è un equilibrio da custodire. E il primo gesto, in una comunità che si riconosce più nelle sfumature che nei contrasti, dovrà essere di apertura.
Ci vuole un sindaco capace di ascoltare anche chi non l’ha votato, di unire la parte tecnica con quella umana, di mettere mano ai problemi concreti — urbanistica, trasporti, vivibilità, decoro — ma senza dimenticare la radice profonda dell’autonomia valdostana: la partecipazione, il rispetto, la lingua, la cultura.
Da giornalista e da autonomista, confesso che questa vittoria mi emoziona. Non per i numeri, ma per ciò che rappresenta.
In un tempo in cui tutto sembra appiattirsi — nei partiti, nei linguaggi, perfino nei simboli — Aosta ha detto che l’autonomia non è un ricordo né un marchio: è una scelta quotidiana. Anche per soli quindici voti.
E allora sì, la notte del ballottaggio resterà lunga nei ricordi: sguardi tesi, conti ripetuti, mani che tremano sulle schede. Ma stamattina, nella luce fredda d’ottobre, si può dire che Aosta resta sé stessa.
Con un filo di respiro in più.





