Ci voleva il voto del 28 settembre per scoprire che in Valle d’Aosta anche il concetto di “limite di mandato” è, diciamo così, una categoria dello spirito. La legge parla chiaro — o forse no — e così da una parte c’è chi sostiene che Renzo Testolin possa legittimamente tentare un nuovo giro sulla giostra, dall’altra chi brandisce la Costituzione come un’arma contundente gridando: “Basta, ha già dato!”.
Il punto? Nessuno lo sa davvero. E questa, in fondo, è la parte più valdostana della storia.
La norma, scritta in burocratese da monaci amanuensi del diritto, può essere letta in modo restrittivo o ampio, come un oroscopo di Paolo Fox: se la interpreti bene, ti promette un futuro radioso; se sbagli riga, ti ritrovi all’opposizione.
Il testo parla di “presenza in Giunta nelle ultime tre legislature”, ma non precisa se la continuità debba essere ininterrotta o meno. E qui casca il pignoletto: nessun presidente o assessore, negli ultimi quindici anni, è rimasto al timone per tre legislature intere.
Morale: tutto è interpretabile. O, come direbbe qualcuno in Avenue des Maquisards, “tutto è negoziabile”.
Il voto di lista UV racconta una storia antica e moderna insieme: un partito ancora forte nelle urne, ma fragile nel cuore. Le preferenze hanno premiato i soliti noti, con il quintetto alto — Testolin compreso — che si immagina già a spartire assessorati e deleghe come fette di fontina.
Peccato che in politica, più che le fette, contino i coltelli.
Testolin, uomo di apparato e di equilibrio, immagina la nuova giunta “tutta UV”, costruita sulla base dei cinque più votati. È la logica dei numeri, e in teoria, nulla da obiettare. Ma c’è chi, dietro le quinte, sussurra che una giunta così “numerica” rischia di far esplodere i malumori dei piccoli, dei quasi eletti, dei penultimi.
E allora, ecco spuntare l’altra ipotesi: “premiare” qualcuno in fondo alla classifica, giusto per comprare un po’ di pace interna. Un assessorato in cambio del silenzio, un sottogoverno per stemperare la bile.
Altro che “trasparenza e confronto”: qui si gioca a carte coperte, e senza neanche il mazziere.
Nel frattempo, fuori dal fortino giallo-nero, regna il gelo artico. Nessun tavolo con possibili alleati, nessun dialogo aperto. Tutti aspettano che l’Union si guardi allo specchio e decida chi è: il partito del presidente o il partito di tutti.
Per ora, è il partito del dubbio.
E il dubbio, si sa, in politica è come la nebbia di Saint-Christophe: rallenta, confonde e — soprattutto — fa deragliare i treni.
Il nodo Testolin e il voto UV
L’Union Valdôtaine tiene botta, confermandosi prima lista, ma con un consenso distribuito in modo squilibrato. I primi cinque candidati raccolgono quasi la metà delle preferenze complessive, segno di una forte concentrazione del voto personale e di una debole identità collettiva.
L’articolo sulla limitazione dei mandati in Giunta lascia aperta una doppia interpretazione:
Restrittiva: tre legislature complessive, anche non consecutive = stop.
Estensiva: tre legislature consecutive = ok, si può tornare dopo una pausa.
La mancanza di precedenti diretti complica ulteriormente il quadro e apre spazio a una valutazione politica più che giuridica.
Scenario A (Testolin sì): l’UV mantiene coerenza interna, Testolin ricompone il puzzle e si presenta come garante di stabilità.
Scenario B (Testolin no): parte la resa dei conti interna e si apre la corsa alla successione, con possibili convergenze esterne verso il centro o verso l’area civica.
In entrambi i casi, l’assenza di confronto con gli alleati e l’opacità delle trattative interne rischiano di trasformare la “Maison” in una casa piena di porte chiuse e finestre appannate.





