ATTUALITÀ POLITICA - 01 agosto 2025, 23:45

Velina Rossonera e Arcobaleno

Cronache semiserie da Palazzo regionale e non solo: indiscrezioni, frecciate e silenzi dal teatrino politico valdostano da mettere in ridicolo

Velina Rossonera e Arcobaleno

Valpelline, mon amour. Là dove le mucche sembrano più in forma dei consiglieri comunali – ma solo perché non devono leggere il DUP semplificato – si è celebrato, mercoledì 30 luglio, l’ultimo consiglio comunale della legislatura. Seduta veloce, asciutta, tirata via in meno tempo di una polenta pronta, ma non per stanchezza o sbadigli da canicola. No, no, il motivo è nobile: bisogna ripartire subito per la campagna elettorale! La classe politica locale non conosce ferie, solo pause strategiche. I verbali della seduta precedente, datati 14 luglio, sono stati approvati con la stessa disinvoltura con cui si mettono le firme sulle cartoline da spedire ai parenti. Nessuno ha avuto niente da dire, forse perché a Valpelline il vero potere si misura in litri di genepì e non in battute a microfono aperto.

Eppure, qualcosa s’è fatto. È passato l’assestamento generale del Bilancio (che, detto così, fa sempre un po’ tremare i polsi ma in fondo è come rassettare casa prima dell’arrivo della suocera: tutto in ordine, almeno in apparenza). Poi si è verificata la salvaguardia degli equilibri – no, non quelli familiari, anche se pure quelli contano – ma gli equilibri del bilancio, che, come gli equilibri in una relazione, sono sempre delicati: basta un’opera pubblica in più e crolla tutto come un castello di carte montato da un bambino con la febbre.

Il Regolamento delle entrate? Modificato. Non si sa mai, magari così entrano davvero. E infine, per gradire, è stato aggiornato lo Statuto comunale, quel documento che nessuno legge ma che tutti devono votare per sentirsi importanti. In questo caso, il motivo era di coerenza con la legge regionale n. 4 del 3 marzo 2025. Sì, quella che pochi ricordano ma tutti fingono di conoscere, come la password del Wi-Fi della Regione.

E che dire del Documento Unico di Programmazione semplificato 2026-2028? Un capolavoro di transitorietà. C’è, ma è vuoto: tipo quei quaderni nuovi di settembre, belli, puliti, ma ancora da riempire con i sogni (o le illusioni) della prossima amministrazione. In chiusura, un’ulteriore modifica al DUP precedente, giusto per non farsi mancare niente, con un occhio al triennio 2025-2027 e alle opere pubbliche che, si spera, non resteranno solo sulla carta come le promesse dei programmi elettorali.

Finita qui? Macché. Adesso arriva la parte bella. Il referendum incombe. Silenzio tombale nelle valli, tipo western prima dello scontro finale, solo che invece di duellare con le pistole ci si combatte a suon di manifesti, o meglio… a suon di un solo tipo di manifesti: quelli unionisti. "SÌ alla preferenza unica", urlano in ogni villaggio, in ogni frazione, persino vicino al pollaio della zia Ernestina, che da quando ha visto i promotori del referendum ha deciso di votare per principio a favore delle tre preferenze

E gli altri partiti? Dispersi al sole come i ghiacci della Marmolada. Forza Italia, che ci ha abituati al marketing creativo, ha fatto appiccicare qualche manifesto generico – roba da autoscatto in bianco e nero – ma niente di concreto. E poi il PD? La Lega? L’Alleanza? Pare che i vertici non si straccino le vesti: in fondo, l’idea della preferenza unica piace più del previsto ai "grandi" di casa, quelli che non vogliono giocarsi la poltrona con troppi outsider. Insomma, il referendum pare una battaglia tra pochi e osservata da moltissimi con lo sguardo della mucca che guarda passare le cabine della funivia incuriosita, ma già rassegnata.

Intanto, si mormora – nei corridoi, nei bar, nei gruppi WhatsApp – che qualche candidato col doppio ruolo, specie quelli che dovrebbero garantire parità e neutralità, farebbe bene a farsi da parte almeno temporaneamente. Ma chi glielo va a dire? A rischio di farsi dare del maschilista o del rosicone. E poi tutti i vociferati candidati sono certi di non aver lite pendente con il comune o la Regione

A proposito di candidature, ad Aosta c’è fermento. Claudio Calì, noto alle cronache per le sue performance da comico-maratoneta, è pronto a lanciarsi nella corsa per fare il sindaco dopo essersi inventato Lucianina Littizzeto con il concorso per comuici Bbavo Grazie". Peccato, ma nenache troppo, che sulla sua strada trovi Luca Tonino, il segretario regionale del PD: uno che di fascia non vuole mollare neanche quella elastica dei pantaloni da jogging. Calì è di area, Tonino è di partito. La guerra è tra artista e apparato. Solitamente, in questi casi, spunta un terzo incomodo che prende tutto, tipo colpo di scena finale nei film di Verdone.

E poi c’è la Lega che, dopo aver promosso il refernedumo, ora ha deciso di comunicare il proprio pensiero referendario con un comunicato così enigmatico da sembrare scritto da un intelligenza artificiale ubriaca di fontina. Dice che, siccome la legge elettorale è passata con una maggioranza risicata, tocca ai cittadini decidere. E fin qui, grazie al piffero. Poi concludono con "Adesso scegli tu". Sì, ma cosa? Dove? Quando? Perché? Chi capisce, spieghi. Magari in un tutorial su TikTok.

Intanto, da Roma arrivano le indiscrezioni sulle elezioni politiche: si parla di 2026 per capitalizzare il consenso prima che scenda come la pressione in montagna. Se invece si aspetta il 2027, saranno in primavera, così Giorgia Meloni potrà tenersi a distanza dalle regionali autunnali, che oggi danno il centrodestra in svantaggio nel 90% delle regioni. E il toto-nome sul nuovo Presidente della Repubblica nel 2029? Dimenticate Meloni, al momento è più probabile un nome tecnico, trasversale, in stile "governo Draghi", ma con più empatia. Tipo il Papa emerito, o uno youtuber col curriculum.

Firmato: Le Sentinelle del Tombino – alias Le Betoneghe (nelle cui orecchie ogni

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