Chez Nous - 30 luglio 2025, 08:00

Faits et paroles

Fatti e chiacchere

Faits et paroles

Ogni volta che si avvicinano le elezioni, si riapre il grande libro dei sogni. Basta un microfono, una diretta Facebook o un aperitivo elettorale per sentire promesse roboanti e visioni grandiose: “Una città più viva!”, “Una regione per i giovani!”, “Vicini ai fragili!”, “Trasparenza, concretezza e dialogo con i cittadini!”. Applausi, strette di mano, e via verso il prossimo comizio. Peccato che, appena si spengono i riflettori, comincino le scuse: “Non abbiamo competenza su questo”, “Non ci sono fondi per quello”, “Serve un tavolo tecnico”, “Dobbiamo aspettare la prossima programmazione europea”. E così le chiacchiere restano, i fatti scivolano via. Eppure esistono cose che si possono fare davvero, subito, con un minimo di coraggio politico e di onestà intellettuale. 

Non servono piani decennali o finanziamenti miracolosi. Basterebbe, per esempio, decidere di pubblicare in modo chiaro e accessibile lo stato di avanzamento del programma elettorale: quante promesse mantenute, quante ferme al palo. Non è fantascienza: è trasparenza. Si potrebbe rendere pubblico – in modo comprensibile anche a un cittadino medio – quante volte i consiglieri si presentano in aula, come votano, cosa propongono. Sarebbe un bel modo per capire chi lavora davvero e chi invece si limita a fare presenza in campagna elettorale. Altra cosa concreta? Smetterla di esternalizzare tutto ciò che si muove.

I servizi pubblici, dalla riscossione delle multe alla gestione dei parcheggi, vengono spesso affidati a società esterne. Ma nessuno spiega mai perché: per risparmiare? Per avere meno rogne? Perché così non si risponde più direttamente ai cittadini? Ridare centralità ai dipendenti pubblici non è solo una questione sindacale, ma di credibilità dell’istituzione. Parliamo poi di spazi pubblici: quanti sindaci hanno promesso “una città più verde”? E poi? Poche panchine, zero alberi, magari qualche rotonda con gerani. Basterebbe vincolare il 5% del bilancio annuale a piccoli interventi di cura urbana, aree gioco, alberature e manutenzioni. Non servono progetti da milioni, ma priorità chiare. E che dire dei trasporti? Parlano di “sostenibilità” e “città a misura d’uomo”, ma i bus passano ogni ora (se passano) e i giovani pagano il biglietto intero per andare a scuola o a lavorare. Perché non garantire il trasporto gratuito almeno ai ragazzi e agli over 65? Non è una rivoluzione, è una questione di scelta politica.

 E poi c’è il grande tema del lavoro. Si parla tanto di “conciliazione vita-lavoro”, ma intanto il lavoro agile – quello vero, non il “lavora da casa ma timbra lo stesso” – è ancora una chimera, soprattutto per chi lavora part-time. Chi ha figli o genitori da accudire è penalizzato, e si trova spesso davanti a un bivio assurdo: o lavori, o vivi. Ma non sarebbe questo il momento di garantire almeno pari dignità organizzativa, invece di premiare solo chi può permettersi il tempo pieno? Intanto le assemblee pubbliche diventano eventi rari, formali, spesso inutili. I cittadini vengono chiamati a votare ogni cinque anni, ma nel frattempo nessuno li ascolta. 

Si potrebbe – si dovrebbe – istituire un appuntamento fisso, ogni trimestre, dove l’amministrazione presenti i dati, risponda alle domande e si confronti con la realtà. Ma è più comodo rifugiarsi nei comunicati stampa e nei post autocelebrativi. E poi, la ciliegina sulla torta: le nomine nelle società partecipate. Ogni volta che si rinnova un cda, partono le danze dei nomi. Curriculum, competenze, visioni? Macché. Di solito conta chi ti ha messo lì. Ma se davvero si vuole cambiare rotta, si dovrebbe avere il coraggio di rendere pubblici i criteri di selezione e garantire che chi gestisce denaro pubblico risponda a standard minimi di merito, non solo di fedeltà politica. Tutto questo si può fare. Subito. Basta volerlo. 

Ma allora viene il dubbio: se queste cose semplici, concrete, a costo zero o quasi, non vengono fatte, com’è che ci dovremmo fidare delle grandi promesse? Quelle sui progetti europei, sulle opere strategiche, sulle riforme epocali? Forse, più che nuove promesse, serve una nuova onestà. E qui entra in gioco anche la nostra Autonomia. Perché non basta evocarla ogni volta che serve un argomento da conferenza. L’Autonomia vale se è usata per fare meglio, non per raccontarla meglio. Se serve a migliorare la vita quotidiana delle persone – con decisioni chiare, accesso ai servizi, equità nei trattamenti – allora ha senso. 

Se invece viene brandita solo come scudo o scusa… è solo l’ennesima chiacchiera. Insomma: cari candidati, meno slide, più impegni veri. E soprattutto, meno chiacchiere. Perché i fatti si possono fare, eccome. Ma bisogna smettere di raccontarsi che “non si può”. Perché a non potersi permettere più promesse deluse, oggi, sono i cittadini. Il questionario del cittadino smaliziato Ecco allora un piccolo questionario provocatorio da sottoporre a ogni candidato che bussa alla porta o piazza il banchetto sotto il mercato.

 Basta rispondere con una X: Lo puoi fare, Lo prometti lo stesso, oppure Lo lasci perdere. 

1. 📍 Sei pronto a pubblicare ogni sei mesi lo stato d’attuazione del programma elettorale?

 2. 🏛️ Ti impegni a rendere pubbliche (in modo leggibile) le presenze e i voti in Consiglio? 

3. 🔧 Firmerai un regolamento per ridurre le esternalizzazioni e rafforzare il personale interno?

 4. 🚌 Ti batti per garantire trasporti pubblici gratuiti o agevolati almeno per giovani e over 65?

 5. 🌳 Ti impegni a destinare almeno il 5% del bilancio agli spazi verdi pubblici? 

6. 🕵️‍♀️ Ti opporrai alla nomina politica diretta dei dirigenti o degli amministratori delle partecipate? 

7. 🏠 Sei disposto a pubblicare in modo chiaro i dati sull’edilizia residenziale pubblica e sui tempi d’attesa? 

8. 🔐 Hai intenzione di affrontare la sicurezza con più educatori e mediazione, o solo con più telecamere? 

9. 💬 Organizzerai almeno una vera assemblea pubblica ogni tre mesi, con bilancio consultivo? 

10. 📉 Se a metà mandato non realizzi almeno metà delle cose promesse, sei pronto a dimetterti? 

Chi risponde sì (seriamente) a otto domande su dieci… è da tenere d’occhio. Chi fa spallucce o s’inalbera, probabilmente ha capito che la differenza tra amministrare e raccontarla è troppo sottile. E conta sull’oblio di chi vota. In fondo, tra i fatti e le chiacchiere c’è solo un ostacolo: la volontà. Il resto si chiama scuse.

Fatti e chiacchere

Promesses électorales et petites vérités qui peuvent (vraiment) se réaliser

À chaque fois que les élections approchent, on rouvre le grand livre des rêves. Il suffit d’un micro, d’une diffusion en direct sur Facebook ou d’un apéritif électoral pour entendre des promesses tonitruantes et des visions grandioses : « Une ville plus vivante ! », « Une région pour les jeunes ! », « Proches des fragiles ! », « Transparence, concrétude et dialogue avec les citoyens ! ». Applaudissements, poignées de main, et en route vers le prochain meeting.

Dommage qu’une fois les projecteurs éteints, commencent les excuses : « Ce n’est pas de notre compétence », « Il n’y a pas de fonds pour cela », « Il faut une table technique », « Il faut attendre la prochaine programmation européenne ». Et ainsi, les paroles restent, les faits glissent.

Pourtant, il existe des choses qu’on peut vraiment faire, tout de suite, avec un minimum de courage politique et d’honnêteté intellectuelle. Pas besoin de plans décennaux ou de financements miraculeux. Il suffirait, par exemple, de décider de publier clairement et de façon accessible l’état d’avancement du programme électoral : combien de promesses tenues, combien au point mort. Ce n’est pas de la science-fiction : c’est de la transparence.

On pourrait rendre public – de manière compréhensible même pour un citoyen moyen – combien de fois les conseillers se présentent en séance, comment ils votent, ce qu’ils proposent. Ce serait un bon moyen de comprendre qui travaille vraiment et qui se contente de faire acte de présence en campagne électorale.

Autre chose concrète ? Arrêter d’externaliser tout ce qui bouge. Les services publics, de la collecte des amendes à la gestion des parkings, sont souvent confiés à des sociétés externes. Mais personne n’explique jamais pourquoi : pour économiser ? Pour avoir moins d’ennuis ? Parce qu’ainsi on ne répond plus directement aux citoyens ? Redonner la centralité aux fonctionnaires n’est pas seulement une question syndicale, mais de crédibilité de l’institution.

Parlons ensuite des espaces publics : combien de maires ont promis « une ville plus verte » ? Et ensuite ? Peu de bancs, zéro arbre, peut-être un rond-point avec des géraniums. Il suffirait de réserver 5 % du budget annuel à de petits travaux d’entretien urbain, aires de jeux, plantations et maintenance. Pas besoin de projets à plusieurs millions, mais de priorités claires.

Et les transports ? On parle de « durabilité » et de « ville à taille humaine », mais les bus passent toutes les heures (quand ils passent) et les jeunes paient le plein tarif pour aller à l’école ou au travail. Pourquoi ne pas garantir le transport gratuit au moins aux jeunes et aux plus de 65 ans ? Ce n’est pas une révolution, c’est un choix politique.

Et puis il y a le grand sujet du travail. On parle beaucoup de « conciliation vie-travail », mais le télétravail – le vrai, pas le « travaille de chez toi mais pointe quand même » – est encore une chimère, surtout pour ceux qui travaillent à temps partiel. Ceux qui ont des enfants ou des parents à s’occuper sont pénalisés et se retrouvent souvent devant un choix absurde : soit tu travailles, soit tu vis. Ne serait-ce pas le moment de garantir au moins une dignité organisationnelle égale, au lieu de récompenser seulement ceux qui peuvent se permettre le temps plein ?

Entre-temps, les assemblées publiques deviennent rares, formelles, souvent inutiles. Les citoyens sont appelés à voter tous les cinq ans, mais en attendant, personne ne les écoute. On pourrait – on devrait – instaurer un rendez-vous fixe chaque trimestre, où l’administration présente les données, répond aux questions et confronte la réalité. Mais il est plus confortable de se réfugier dans les communiqués de presse et les posts auto-congratulatoires.

Et puis, la cerise sur le gâteau : les nominations dans les sociétés participées. À chaque renouvellement du conseil d’administration, les noms commencent à danser. CV, compétences, visions ? Pas du tout. Généralement, ce qui compte c’est qui t’a mis là. Mais si on veut vraiment changer de cap, il faudrait avoir le courage de rendre publics les critères de sélection et garantir que ceux qui gèrent l’argent public répondent à des standards minimaux de mérite, pas seulement de fidélité politique.

Tout cela, on peut le faire. Tout de suite. Il suffit de le vouloir.

Mais alors vient le doute : si ces choses simples, concrètes, à coût zéro ou presque, ne sont pas faites, pourquoi devrions-nous croire aux grandes promesses ? Celles sur les projets européens, les œuvres stratégiques, les réformes historiques ? Peut-être qu’au-delà des nouvelles promesses, il faut une nouvelle honnêteté.

Et ici entre en jeu aussi notre Autonomie. Parce que ce n’est pas suffisant de l’évoquer à chaque fois qu’on a besoin d’un sujet de conférence. L’Autonomie vaut si elle est utilisée pour mieux faire, pas pour mieux la raconter. Si elle sert à améliorer la vie quotidienne des gens – avec des décisions claires, accès aux services, équité dans les traitements – alors elle a du sens. Sinon, si elle n’est brandie que comme bouclier ou excuse… c’est juste une énième parole en l’air.

En résumé : chers candidats, moins de slides, plus d’engagements réels. Et surtout, moins de paroles. Parce que les faits, on peut les faire, vraiment. Mais il faut arrêter de se raconter qu’« on ne peut pas ». Parce que ceux qui ne peuvent plus se permettre des promesses non tenues, aujourd’hui, ce sont les citoyens.

piero.minuzzo@gmail.com

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