La notizia è di quelle che fanno rumore, anche nei corridoi silenziosi di un ipermercato di prima mattina. Carrefour Italia cambia padrone. I francesi cedono il 100% del pacchetto azionario all’emiliana NewPrinces S.p.A., realtà industriale con sede a Reggio Emilia, già proprietaria di marchi storici come Giglio, Polenghi Lombardo e Delverde. Valore stimato dell’operazione: un miliardo di euro.
Un’operazione mastodontica che – se otterrà il via libera delle autorità – diventerà operativa entro settembre. L’acquisto fa di NewPrinces il secondo gruppo alimentare italiano per fatturato e il primo per numero di lavoratori, con oltre 13mila dipendenti diretti in Italia, 18mila nel mondo e altri 11mila lavoratori dell’indotto.
Ma sotto i numeri scintillanti si nasconde una crepa profonda. A tremare sono soprattutto i territori più periferici, come la Valle d’Aosta, dove Carrefour è uno dei principali datori di lavoro del settore privato, con circa 250 addetti tra punti vendita diretti e franchising.
I sindacati sono in stato d’allerta. La cessione, comunicata direttamente da GS Carrefour alle segreterie nazionali di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, ha acceso il semaforo rosso: “Vogliamo vedere il piano di rilancio e capire come verranno salvaguardati i posti di lavoro, sia nella sede centrale che nei punti vendita e negli appalti”, spiegano le sigle, che hanno chiesto un incontro urgente al ministero delle Imprese e del Made in Italy.
La preoccupazione è concreta. Il gruppo francese aveva già intrapreso negli ultimi anni una lunga fase di ridimensionamento, con chiusure, ristrutturazioni e cessioni in serie. “Ora ci ritroviamo con un nuovo padrone industriale, con una logica diversa da quella di un colosso della distribuzione. Potrebbero cambiare le strategie, i format, e magari anche le condizioni dei lavoratori”, fa notare un delegato sindacale della sede di Aosta.
Il presidente di NewPrinces, Angelo Mastrolia, ha definito l’acquisizione “un passo decisivo verso l’integrazione tra industria e distribuzione”, sottolineando l’intenzione di rilanciare la rete e creare un modello sostenibile. Ma le rassicurazioni, per ora, non bastano.
Il problema non è solo occupazionale, ma anche economico e territoriale. In Valle d’Aosta, i punti vendita Carrefour sono un pezzo dell’ecosistema commerciale. Non solo per chi ci lavora, ma per l’indotto (fornitori locali, servizi logistici, manutenzione) e per il tessuto urbano, spesso concentrato attorno a quelle superfici.
Il timore più grande è che il nuovo gruppo decida di fare piazza pulita delle sedi meno redditizie o “ridondanti”. La Valle d’Aosta, con un bacino di utenti limitato e costi di gestione più alti, potrebbe finire nel mirino di una razionalizzazione industriale travestita da rilancio.
Lo stato di agitazione indetto a livello nazionale è solo il primo segnale. In molti ricordano cosa è accaduto altrove, con chiusure improvvise e lavoratori lasciati al loro destino, spesso senza alternative reali.
Per la Valle d’Aosta, in ballo non c’è solo una catena di supermercati. C’è la sicurezza economica di 250 famiglie, la tenuta del mercato del lavoro locale, il ruolo delle grandi superfici nella vita quotidiana di una regione che già combatte con spopolamento e desertificazione commerciale.
La politica regionale, finora silente, dovrà far sentire la sua voce. Perché un cambio di proprietà da un miliardo non può passare come una normale operazione finanziaria. Così come il Savt.
Soprattutto quando si rischia di pagare il conto alla cassa, ma senza lo scontrino della tutela.





