Il fronte del nostro areale di sorveglianza avanza di altri 500 metri”. Non è una semplice misura tecnica, è il segnale che la minaccia si avvicina. E lo fa silenziosamente, ma inesorabilmente. La dermatite nodulare contagiosa, malattia virale del bestiame particolarmente aggressiva, bussa alle porte della Valle d’Aosta e costringe la Regione ad alzare ancora di più la soglia dell’allerta.
“Courmayeur e Pré-Saint-Didier si aggiungono a La Thuile nella zona di sorveglianza. Parliamo di 29 alpeggi, 107 allevamenti e 2.380 capi, alcuni dei quali provenienti dal Piemonte”. L’assessore alla Sanità, Carlo Marzi, lo ha comunicato oggi in Consiglio Valle, senza girarci intorno. L’epidemia si allarga e anche chi, fino a pochi giorni fa, era fuori dal perimetro ora si trova dentro, con tutte le limitazioni e i timori del caso.
Il dato che inquieta non è solo la crescita numerica, ma la rapidità con cui si evolve lo scenario: bastano pochi focolai oltralpe per cambiare drasticamente i confini della zona a rischio. “Ho già informato i sindaci coinvolti e il Celva”. Nessuno, insomma, potrà dire di non sapere.
Ma il nodo più critico resta la gestione della malattia. “Il ministero ha approvato la nostra richiesta di vaccinazione preventiva, avanzata già a giugno”. Un via libera atteso da settimane, finalmente arrivato, ma che apre ora una corsa contro il tempo: “Si è già attivato in via informale con la Commissione europea per procurarci le dosi necessarie”.
Già, perché la dermatite nodulare è classificata come malattia “extra UE”, e tutto – approvvigionamento, gestione e distribuzione dei vaccini – è nelle mani di Bruxelles. “Entro questa settimana dobbiamo predisporre il piano vaccinale”, ha annunciato Marzi. Toccherà definire “il numero di capi da trattare, i tempi per completare il piano e le procedure normative da attivare”.
Una corsa a ostacoli, dove ogni giorno può fare la differenza. Perché se un caso positivo dovesse effettivamente emergere sul territorio, le conseguenze potrebbero essere drammatiche: “Abbiamo già chiesto la deroga all’abbattimento dell’intero allevamento”.
Una misura di contenimento che rischierebbe di azzerare anni di lavoro e di selezione genetica, un colpo durissimo a un comparto che custodisce “tre specie autoctone in via di estinzione”. Marzi lo dice chiaramente: “Auspichiamo un’apertura a trovare eventuali soluzioni, vista la nostra particolarità”.
Anche perché la questione sanitaria si intreccia con quella economica e produttiva. “Abbiamo chiesto di poter continuare a lavorare il latte crudo sul posto nelle zone di restrizione”, prosegue l’assessore, sottolineando che è stata già proposta la designazione di uno “stabilimento di stagionatura in vincolo”. Anche in questo caso, però, la decisione non è nelle mani della Regione.
Il quadro è dunque molto delicato, e il senso d’urgenza cresce. La Valle d’Aosta chiede flessibilità, tempestività e soprattutto attenzione da parte di Roma e Bruxelles. Perché, come spesso accade in montagna, la distanza dai centri decisionali rischia di trasformarsi in isolamento operativo. Ma stavolta in gioco non c’è solo la produttività agricola. C’è un pezzo della nostra biodiversità, del nostro patrimonio zootecnico, della nostra identità. E perderlo, sarebbe irreparabile.





