Non bastava la lentezza dei ristori statali, l’assordante silenzio della Protezione civile nazionale e il progressivo svuotamento delle prerogative regionali sotto il mantello dell’unità repubblicana. Ora il Governo centrale arriva addirittura a impugnare una legge della Valle d’Aosta pensata per aiutare i Comuni colpiti da un evento devastante: l’alluvione e le valanghe del 16 e 17 aprile 2025.
Il Consiglio dei ministri, con il placet del ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, ha deciso che la legge regionale 12/2025, approvata all’unanimità dal Consiglio regionale, “eccede le competenze statutarie” e “viola il coordinamento della finanza pubblica”. Tradotto: lo Stato vieta alla Valle d’Aosta di aiutare se stessa.
La motivazione è tanto tecnica quanto ideologica. Roma giudica incostituzionale l’intervento perché toccherebbe materie “statali”: sistema contabile, protezione civile, finanza pubblica. Ma ci si dimentica – o si fa finta di dimenticare – che la Valle d’Aosta è una Regione a Statuto Speciale, dotata di potestà legislativa primaria proprio in materia di finanza locale e organizzazione dei Comuni (articoli 2 e 3 dello Statuto). Non stiamo parlando di una trovata populista o di una misura elettorale, ma di trasferimenti straordinari e urgenti verso amministrazioni locali messe in ginocchio da frane, smottamenti e valanghe.
Quella che si profila, ancora una volta, è l’erosione silenziosa dell’autonomia valdostana, ridotta ormai a un simulacro folkloristico: bilingue solo nei proclami, autogovernata solo nei limiti concessi dal Ministero dell’Economia.
Non è la prima volta. In passato lo Stato ha impugnato norme su tributi, ambiente, urbanistica, sanità. E ogni volta si è sbandierato il rispetto della Costituzione per mascherare una verità più amara: l’autonomia non è più tollerata. Non da questo Governo, e non da uno Stato che predica il regionalismo differenziato mentre colpisce le Regioni Speciali.
La Valle d’Aosta ha chiesto poco: poter usare risorse proprie, già disponibili in bilancio, per aiutare i propri Comuni. Ha chiesto di fare ciò che la sua storia, il suo Statuto e il suo popolo le hanno sempre riconosciuto: agire in proprio, nel rispetto di sé e delle sue competenze.
Con questo ennesimo schiaffo, Roma dimostra di non voler più riconoscere né l’eccezionalità della montagna, né la dignità delle autonomie. La Petite Patrie è sempre più piccola, e rischia di scomparire.
Forse è giunto il momento di alzare la voce. Perché oggi ci impongono di non aiutare i nostri Comuni, domani ci chiederanno di spegnere anche la nostra identità.





