CRONACA - 18 luglio 2025, 07:30

Un ragazzo, una curva, la morte

amuele Privitera aveva diciannove anni, gambe veloci e un sogno lungo una salita. L’ha fermato un dosso di cemento, invisibile e fatale, lungo le strade del Giro della Valle d’Aosta. La dedica di Pogacar, le lacrime di Merckx e il silenzio degli organizzatori si mescolano al dubbio: quanto è sicura, davvero, questa corsa?

Samuele Privitera

Samuele Privitera

Samuele era due metri davanti. "Venivamo da una curva che si affronta senza frenare", ha raccontato Lorenzo Masciarelli, che la scena se la porterà dentro, come un graffio che non si cicatrizza. "Eravamo nella pancia del gruppo, una ventina di corridori, e Samuele veniva dall’esterno". Poi il cemento. Quel dosso lì, messo per rallentare le macchine, non per i sogni. "È salito sopra, ha perso la presa del manubrio, ha cercato di stare in piedi… poi l’impatto. Una barriera di ferro. La testa. Il petto. Il casco era integro. Ma il corpo no".

Pochi secondi. Il rumore del metallo, il volo, l’ambulanza. La corsa si è fermata lì. Lui, invece, no: ha continuato ad andare in avanti, verso la cronaca, verso la storia tragica delle giovani promesse spezzate. Samuele Privitera, diciannove anni, team Hagens Berman Jayco. Era ligure, ma correva ovunque, inseguendo il ciclismo con la tenacia di chi non ha ancora imparato a proteggersi.

"Dedico questa vittoria a Samuele Privitera", ha detto Tadej Pogacar qualche ora dopo, sopra i 1.500 metri di Hautacam, con la maglia gialla di nuovo addosso e le parole cariche di commozione. "Fin dalla partenza ho pensato a lui. Dedicargli il mio successo è il minimo". Il Tour de France, nel suo silenzio solenne, ha applaudito. La corsa dei giganti, quella degli adulti, ha fatto ciò che doveva: ha ricordato. Ma le domande restano inchiodate qui, sulle strade della Valle d’Aosta.

Una curva, una strada comunale, una barriera. Chi ha disegnato quel tratto? Chi ha fatto il sopralluogo? Chi ha valutato l’idoneità per una corsa under 23 dove si scende ai 70 all’ora? Forse nessuno. O forse tutti, ma con la solita leggerezza delle cose fatte "come si è sempre fatto".

Questa mattina, a Pontey, c’era anche il sindaco, Leo Martinet. Sguardo basso, presenza doverosa. Con lui anche Filippo Borrione, direttore del Giro, che ha chiesto un momento di silenzio. È servito. Ma non basta. Non basterà mai.

La Procura di Aosta, intanto, attende. Gli accertamenti della stradale potrebbero portare a una richiesta di autopsia. O forse no. Intanto c’è un’altra vittima, il secondo corridore caduto nello stesso punto: frattura alla clavicola. Anche lui ha visto tutto, da dentro. Anche lui, dicono, ha pianto.

Axel Merckx, figlio di Eddy, ha scritto parole che stringono il petto. "Samuele era il cuore della squadra. Era insostituibile. La sua gioia, il suo spirito… Perderlo è devastante". L’ultima foto pubblica del ragazzo lo ritrae sorridente, con gli occhiali da sole e la divisa ancora pulita. La bici in spalla, una luce negli occhi. Non sapeva che sarebbe stata una delle ultime.

Il presidente della Federciclismo, Cordiano Dagnoni, ha scelto toni duri: "Una notizia che ci obbliga a ragionare. Dobbiamo intensificare gli sforzi per la sicurezza: è un obbligo morale verso i nostri giovani". Belle parole, certo. Ma non nuove. Se ne sentono ogni volta che qualcuno muore. Poi, passato il clamore, torna il ritmo lento della burocrazia.

Per Samuele, il Giro ha fermato la tappa di mercoledì. Ha deciso di neutralizzare i primi 40 chilometri della tappa di oggi. Ci saranno più ambulanze, più medici, più controlli. Ma chi corre, lo sa: nessuno può fermare davvero una discesa. Nessuno può cancellare l’imprevisto. E allora il dubbio resta, e cresce: è davvero una corsa sicura, quella valdostana? È normale affrontare una curva cieca con un dosso in mezzo? È normale che a farne le spese sia un diciannovenne?

Tanti oggi si stringono intorno alla famiglia. Tutti i premi del Giro saranno devoluti ai suoi genitori. Un gesto che consola, ma non ripaga. Loro, intanto, aspettano il nullaosta per il funerale. Aspettano che qualcuno dica la verità. E magari, che la prossima corsa sia un po’ meno letale. Un po’ meno fatalmente sbadata.

Perché Samuele era un ragazzo. Un ragazzo vero. E questa è una tragedia vera. Senza retorica, senza bisogno di aggiungere altro. Solo dolore. Solo rabbia. E una curva che non si potrà più affrontare senza ricordare quel casco volato via.

j-p.sa.

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