ECONOMIA - 13 giugno 2025, 09:09

Un gelato e l’economia

Una banale richiesta infantile diventa lo spunto per riflettere sul mercato, il lavoro e i paradossi di un sistema che crolla… per 3 euro

Un gelato e l’economia

Stavo portando a spasso mia nipote di 5 anni quando, passando davanti a una gelateria, ecco la fatidica frase:
«Nonno, mi compri un gelato?»

Secondo voi un nonno sarebbe capace di dire di no a due occhioni adoranti che ti guardano come un dio sceso in terra? Certo che no. Allungo la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e… come se si fermasse il mondo: tasca vuota, portafoglio assente, sparito, evaporato. Così come la mia gioia di nonno.

Fisso mia nipote con l’aria di un cane bastonato e farfuglio:
«Il nonno ha dimenticato il portafoglio con i soldi.»
Lei mi guarda e chiede:
«Allora senza soldi non ci danno il gelato?»

A farla breve, il gelato ovviamente sono riuscito a recuperarlo. Ma quel “senza soldi niente gelato” mi è rimasto dentro come un tarlo.

La sera, seduto sotto la veranda, mi sono ritrovato a riflettere su come “un gelato” potesse essere, in realtà, un potente motore per l’economia intera di un Paese. Tre semplici euro smuovono un’economia. Davvero. Danno lavoro a decine di persone.

È incredibile quanta economia si nasconda dietro una banale richiesta di un gelato. Uno, cento, mille gelatai… Lavoratori che, con il loro mestiere, danno lavoro ad altri lavoratori: contadini che producono latte, agricoltori che forniscono la frutta, autisti che trasportano, meccanici che riparano trattori e furgoni, operai specializzati che costruiscono le macchine per fare il gelato.

Poi ci sono i frigoriferi, i banchi per conservarlo, gli affitti dei locali, le bollette della corrente, le spese condominiali, l’elettricista, l’idraulico, l’imbianchino. Tutta una rete di persone che vivono — anche solo per piccoli interventi — grazie a quel gelato.

Un semplice, banale gelato crea un pezzo dell’economia di una nazione.
Ma senza quei miserabili 3 euro... tutto crolla.

Per anni ci hanno insegnato che l’economia si regge sulla possibilità della gente di comprare: domanda e offerta. Due pilastri. Più domanda? I prezzi salgono. Meno domanda? I prezzi scendono. Prezzi troppo alti? La domanda crolla. Sembra un tavolo da ping pong.

La pallina di questa partita si chiama denaro. Domanda e offerta sono il campo, ma se togli la pallina — i famosi 3 euro — il gioco si ferma.

Il nonno non ha i 3 euro → il gelataio non vende → chiude → niente latte, niente frutta, niente furgoni. L’elettricista non lavora più, perché non c’è più il gelataio. Un effetto domino perverso.

Forse fa sorridere, ma potete davvero negare che, in un’economia basata sul lavoro, se la gente non ha soldi per comprare, il mercato entri in crisi?

Parlo del mercato del lavoro, non delle speculazioni. Quelle vanno avanti comunque. Ma la domanda è: per quanto un Paese può reggere basandosi solo sulla finanza?

L’abbiamo già visto col gas in borsa: speculazioni alle stelle, bollette fuori controllo, centinaia di aziende chiuse per costi insostenibili. Quali e quanti danni ci ha causato?

Credo che, se non avremo una politica capace di invertire la rotta, rimettendo la persona al centro, andremo incontro a squilibri sociali. E, purtroppo, anche a scontri.

Possiamo davvero vivere in un mondo in cui una sola persona detiene la ricchezza di milioni, mentre un bambino non può comprarsi un gelato?
Possiamo accettare che qualcuno si arricchisca vendendo armi, mentre altri non possono permettersi un sorriso da 3 euro?

Se questo è il futuro, sono ben felice di non vederlo arrivare.

Vittore Lume-Rezoli

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