Chez Nous - 20 maggio 2025, 08:00

Invasion Verte

Invasione Verde

Invasion Verte

Invasione Verde: Ovvero la mancata cura dei terrazzamenti e dei prati di montagna abbandonati all’incuria

C’è un'invasione in atto, silenziosa ma spietata. Non si tratta di eserciti né di orde barbariche, ma di verde. Verde ovunque. Verde che soffoca, che avanza, che divora i segni lasciati dall’uomo e dalla sua fatica. Verde che, oggi, chiamiamo “bosco spontaneo” ma che ieri era il frutto dell’incuria, della cecità, dell’abbandono colpevole. Per anni, troppi anni, in Valle d’Aosta si è chiuso un occhio — anzi due — di fronte a un fenomeno che oggi presenta un conto salatissimo: quello dell’abbandono dei terrazzamenti, dei prati stabili, dei pendii faticosamente domati dai nostri campagnards, veri e propri giardinieri della montagna.

Quelle pietre che una volta venivano sistemate con intelligenza e tenacia, per contenere la terra e farla fruttare, oggi giacciono coperte da rovi e da robinie. I terrazzamenti crollano, e con loro crolla anche l’idea stessa di una montagna abitata, vissuta, mantenuta viva. Al loro posto, boscaglia. Non foreste rigogliose, non natura selvaggia da cartolina, ma vegetazione infestante, piante sradicate, alberi pericolanti. E poi frane, smottamenti, strade chiuse — una dopo l’altra — come sentenze di un tribunale che ci accusa di negligenza collettiva.

La cronaca recente è impietosa: ogni ondata di maltempo si traduce in decine di strade interrotte, soprattutto nei comuni montani. Interventi d’urgenza, ruspe, vigili del fuoco, sindaci lasciati soli a fronteggiare un territorio che si ribella al disinteresse. Tutto questo non è frutto del caso o del cambiamento climatico — o almeno, non solo. È il risultato di decenni di politiche miopi, di bilanci risicati, di assessorati all’Agricoltura più interessati ai convegni che ai boschi che inghiottono le baite, le mulattiere, le vigne.

Si è parlato — anche troppo — di sostenibilità, di presidio del territorio, di agricoltura eroica. Belle parole, slogan ben confezionati. Ma i fatti? Dove sono i piani di manutenzione dei terrazzamenti? Dove sono gli incentivi veri — non le briciole — per chi ancora oggi tenta di falciare un prato sopra i 1.200 metri? Dove sono i censimenti aggiornati dei versanti a rischio? Le politiche di contenimento del bosco spontaneo? Le alleanze vere con le comunità locali, con le aziende agricole, con le famiglie che ancora tengono in piedi un alpeggio?

Per anni ci si è voltati dall’altra parte. Si è lasciato che la natura facesse il suo corso, dimenticando che la natura, in montagna, se non è accompagnata, si riprende tutto. Ma lo fa con violenza, con prepotenza. E oggi ce ne accorgiamo: strade rurali diventate trincee, sentieri impraticabili, turisti che girano i tacchi e comunità sempre più isolate.

L’invasione verde non è solo una questione paesaggistica. È un’emergenza economica, sociale, culturale. È la dimostrazione che il paesaggio non si conserva da solo, ma ha bisogno di cura, di lavoro, di decisioni politiche serie. E invece si è preferito lasciare che tutto crescesse a caso, che i prati diventassero foreste malate, che il lavoro di generazioni venisse inghiottito dal silenzio.

L’assessorato dell’Agricoltura — che dovrebbe essere il primo baluardo contro l’abbandono del territorio — è il grande assente. Sempre pronto a celebrare sagre e fiere, sempre lesto nel rivendicare il proprio ruolo strategico, ma incapace di mettere in campo politiche strutturali per fermare la deriva del territorio. E intanto i terrazzamenti crollano, le strade si chiudono, gli alberi cadono. Cadono come simbolo di una politica che ha lasciato marcire le radici.

Serve una presa di coscienza, oggi. Serve un colpo di reni. Non bastano più le giornate dedicate alla biodiversità, le conferenze sull’agricoltura di montagna o le foto nei campi di lavanda. Servono piani concreti, fondi veri, manodopera formata, una visione. E soprattutto serve rispetto. Per chi ha costruito quei muretti, per chi ha falciato quei prati, per chi ha difeso — con la schiena curva e le mani spaccate — questa montagna che ora sta franando nell’oblio. (ha collaborato Jean-Pierre Savourel)

Invasione Verde

Ou l’abandon des terrasses et des prairies de montagne, livrées à l’incurie et à l’oubli

Il y a une invasion en cours, silencieuse mais implacable. Ce ne sont pas des armées ni des hordes hostiles, mais du vert. Du vert partout. Un vert qui étouffe, qui progresse, qui dévore les traces laissées par l’homme et par son travail. Un vert que l’on appelle aujourd’hui "forêt spontanée", mais qui est en réalité le fruit de la négligence, de l’aveuglement, de l’abandon coupable.

Les pierres autrefois soigneusement empilées par nos campagnards, véritables jardiniers de montagne, pour construire des terrasses agricoles, s’effondrent peu à peu, englouties par les ronces et les robiniers. Les prairies, elles aussi, disparaissent, noyées sous une végétation anarchique. En leur place : friches, chaos végétal, arbres déracinés ou menaçants. Et avec eux, des routes fermées, des sentiers impraticables, des connexions interrompues. Comme une montagne qui se venge de notre abandon.

Chaque épisode de mauvais temps devient un cauchemar logistique : glissements de terrain, arbres tombés, tronçons isolés. Les maires, souvent laissés seuls, doivent improviser des réponses en urgence, pendant que les citoyens assistent, impuissants, à la dégradation de leur territoire.

Ce désastre n’est pas seulement dû au climat. Il est surtout le résultat de décennies d’inaction politique. On a parlé — beaucoup trop — de "durabilité", de "résilience", de "présence humaine en altitude". Mais où sont les faits ? Où sont les plans concrets de maintenance des terrasses, les vrais incitatifs pour faucher une prairie à 1200 mètres ? Où sont les projets pour contenir la progression incontrôlée du bois ?

L’assessorat à l’Agriculture, qui devrait être le premier à protéger le territoire contre l’abandon, brille par son absence. Toujours prêt à inaugurer foires et fêtes, mais aux abonnés absents quand il s’agit de mettre en place des politiques efficaces pour contenir l’avancée du vert sauvage. Pendant ce temps, les arbres tombent. Les routes se ferment. Les familles de montagne s’isolent. Et les touristes s’en vont ailleurs.

Cette invasion verte n’est pas seulement une question de paysage : c’est une urgence économique, sociale et culturelle. C’est la preuve que la montagne ne survit pas toute seule : elle a besoin de soins, de travail, de volonté politique. Et aujourd’hui, elle est victime de l’oubli.

Il est temps de dire stop. Stop aux slogans creux. Stop aux politiques de façade. Il faut des plans ambitieux, des fonds suffisants, une main-d’œuvre qualifiée, et surtout : du respect. Respect pour ceux qui ont bâti ces murs, fauché ces prés, gardé ces alpages en vie.

Car si nous ne faisons rien, la montagne se refermera. Sur elle-même. Et sur nous tous. (avec la collaboration de Jean-Pierre Savourel)

piero.minuzzo@gmail.com

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